Secondo alcuni esperti, molti giovani, una volta finita la pandemia, avranno comunque paura di uscire di casa e anche di andare a scuola
“E’ tutto un problema educativo”: sono parole che i lettori del Sussidiario conoscono bene, quelle che pronuncia lo psicoterapeuta Paolo Crepet, una vita dedicata ai giovani e, appunto, al “problema educativo”. Secondo stime elaborate da Marco Crepaldi, psicologo e fondatore di Hikikomori Italia, associazione nazionale nata con l’obiettivo di sensibilizzare sul tema dell’isolamento volontario, sarebbero almeno 100mila gli italiani tra i 14 e i 30 anni che vivono rinchiusi in casa o, stando al modello giapponese, dove il fenomeno ha dimensioni di massa, addirittura all’interno della propria cameretta, senza uscirne mai. “Il fenomeno degli hikikomori è destinato ad aumentare e a cronicizzarsi.
Quando riapriranno le scuole, molti non torneranno sui banchi, altri non usciranno nemmeno quando la pandemia lo permetterà” ha detto ancora Crepaldi, ma Crepet non è del tutto d’accordo con queste previsioni.
Che ne pensa del rischio che molti ragazzi, dopo il lockdown e la riapertura delle scuole, avranno “paura” a tornarci, preferendo rimanere a casa?
E’ probabile che ci sia qualche ragazzo che subisca questo trauma, ma saranno pochissimi. Ritengo che questa problematica, questa paura, appartenga più ai genitori che ai giovani.
In che senso?
Nel senso che i ragazzi vengono influenzati dalle paturnie genitoriali, che pensano e dicono loro che se uno va a scuola poi torna con il virus. In questo momento storico bisogna avere senso civile. Stiamo iniziando adesso una campagna vaccinale proprio per gli insegnanti e quindi credo sia un segno per dare garanzie e sicurezza. A scuola i giovani hanno un bassissimo rischio di contagio, e questo andrebbe detto.
Questo problema della paura di uscire di casa però esisteva già prima della pandemia, è vero?
E’ vero, ma io che mi occupo di queste cose da trent’anni posso dirle che dipende dall’enorme problematicità legata all’educazione.
Ci spieghi meglio.
Noi adulti abbiamo smesso di educare e ci siamo messi a dare ai figli qualunque cosa ci chiedano, ma non si educa dando, lo dico sempre. I genitori sanno solo regalare libertà, soldi, tecnologie, ma pur di non dire no a un figlio e proporre altro si ammazzano. Questo è il vero problema a monte. Poi certo, Zuckerberg e tutti gli altri proprietari di social e piattaforme digitali in questo momento gongolano, fanno un mucchio di soldi.
Non pensa che pesi anche la paura di una società sempre più competitiva, sin dal tempo della scuola, che spaventa e stressa le persone?
Penso che vadano operate scelte coraggiose. Spero che il nuovo governo cominci a ragionare così. Non si regali più tecnologia ai minori di 14 anni. I media facciano una campagna a tal proposito, la firmo subito e se qualcuno si arrabbia se lo faccia passare. Sarebbe un segnale formidabile da dare anche dal punto di vista culturale. Lo scrissi già anni fa: prima di Natale non comprate tecnologia digitale ai vostri bambini. Mi si scagliarono addosso tutti, successe il finimondo.
Immagino, anche perché si vanno a colpire interessi economici.
Non importa. Ci sono tanti interessi economici da salvaguardare oggi: i ristoratori, le fabbriche, la sanità, i trasporti. Se si vendono meno iPhone mi interessa poco, mi spiace per quelli che lavorano alla Silicon Valley. Dobbiamo avere il coraggio di vietare la vendita di tecnologia digitale ai minori di 14 anni.
Anche perché poi vediamo come i social possano anche portare alla morte molti giovanissimi…
Esatto, è un motivo in più.
Insomma, è tutto un problema educativo?
Assolutamente sì e i problemi educativi si affrontano con delle regole, non con i discorsi.
Fonte: Paolo CREPET | IlSussidiario.org