Sopra La Notizia

Parlare di aborto ai liceali ma farlo veramente

Per stare ai fatti, al Liceo Giulio Cesare di Roma alcuni studenti hanno proposto di organizzare, tra i corsi per la settimana dello studente, uno di “informazioni sull’interruzione di gravidanza”, scegliendo come relatrice una dottoressa impegnata nella lotta contro l’obiezione di coscienza. La Preside ha invitato a riformulare questa e altre due proposte. Apriti cielo, non sia mai detto! Titoloni di Repubblica e di tutti gli altri giornali, scudi levati, le penne del femminismo, sempre pronte a correre in soccorso del vincitore, sguainate, accuse di censura.

Questi più o meno i fatti.

Allora. Cerchiamo di ragionare con onestà intellettuale prima di arrivare a giudicare la preside, prontamente linciata mediaticamente.

Innanzitutto se c’è una cosa su cui non hanno bisogno di ricevere informazioni i ragazzi oggi purtroppo è l’interruzione di gravidanza. I ragazzi e le ragazze hanno già le informazioni “tecniche”, diciamo, e se non le hanno sanno benissimo dove andare a cercarle. Le ragazzine possono andare in farmacia anche senza ricetta medica e senza che un adulto che possa sostenerle, aiutarle, informarle ne sia a conoscenza. Basta un’amica che ti dica il nome della pillola da prendere, e non serve la prescrizione (a differenza del banale antinfiammatorio che è l’unico a mandarmi via il mal di testa, quella volta all’anno in cui mi viene, che se non ho la ricetta devo supplicare la farmacista in ginocchio, e prometterle una cornea se per favore me lo fa prendere, che poi le consegno la ricetta, glielo giuro, domani). Sanno tutti – grandi e piccoli – così tanto sull’aborto che su sei bambini concepiti, uno viene ucciso in Italia, cioè 200 ogni 1000 nati, senza contare l’incalcolabile numero di aborti attraverso i farmaci di cui sopra, che ti permettono di vivere questo dramma da sola a casa, magari con una dolorosa emorragia, senza sorveglianza medica, senza supporto affettivo.

Secondo punto: non esiste l’interruzione di gravidanza. Esiste una gravidanza che viene fermata per sempre e che non tornerà mai più, oppure una gravidanza che si conclude con la nascita di un bambino. Tertium non datur. C’è un bambino, e questo è il dato di partenza: questo bambino può vivere o morire. Non viene interrotto. Perché parlare di interruzione forse può far pensare che io rimando, adesso non me la sento, farò un figlio più tardi. Invece quel bambino che muore non torna più, non è interrotto e poi riavviato. Forse ce ne sarà un altro, forse, ma non quello (non è così facile e scontato concepire una vita).

Terzo punto: invitare una militante contro l’obiezione di coscienza significa non insegnare il metodo che proprio gli studenti del Liceo classico dovrebbero coltivare più di tutti, essendo nato dalla dialettica platonica, che aiutava a guardare i problemi da più punti di vista, ad ascoltare, a far funzionare il cervello. Proviamo allora con serietà a fare chiarezza su un argomento tanto delicato, che può pesare molto sulla vita di due ragazzi. C’è un bambino nel grembo di quella ragazza o un grumo di cellule? Intanto proviamo a rispondere a quella domanda, invitando anche un bioeticista che la pensa diversamente dalla dottoressa Agatone, perché ce ne sono moltissimi e molto autorevoli.

Poi invitiamo anche uno storico che nel modo più onesto possibile racconti come sono nate le leggi a favore dell’aborto, cioè sotto i regimi nazista e comunista. Raccontiamo correttamente la sentenza Roe vs Wade che portò all’approvazione della legge negli Stati Uniti, nata da una bugia (Norma McCorvey non è mai stata stuprata, poi ha fatto una clamorosa defezione dal fronte abortista, accuratamente nascosta dai media: almeno a scuola però bisognerebbe studiarla, la storia). Raccontiamo anche il fronte italiano, la battaglia dei radicali, coi suoi cavalli di battaglia – la diossina di Seveso che doveva far nascere tutti bambini malformati, lo slogan delle donne violentate (6 milioni di aborti in Italia, tutti dopo uno stupro?) – e certo, per onestà raccontiamo anche gli aborti clandestini prima della contraccezione, perché la verità va detta tutta e va raccontata bene. Raccontiamo anche il contesto degli aborto clandestini, facciamo parlare una dottoressa abortista come Silvia Agatone, ma poi deve prendere la parola un ginecologo che dopo avere operato tanti aborti si è stancato di usare la sua laurea in medicina in senso contrario al giuramento di Ippocrate, e ha deciso di farli solo nascere, i bambini, per esempio il dottor Giorgio Epicoco.

Raccontiamo che nonostante gli obiettori di coscienza non esiste a oggi in Italia una sola donna dal ’78, neppure una, a cui l’aborto sia stato negato, e che anche quest’anno la relazione sull’attuazione della 194 – che riferisce annualmente sull’applicazione della legge – ha decretato che “la numerosità dei punti IVG appare più che adeguata”.

Raccontiamo che Zingaretti aveva indetto un concorso per medici da cui gli obiettori erano esclusi, e quindi fare obiezione rischia anche di farti perdere occasioni di carriera, e che quindi forse un medico che uccide un bambino con un bisturi è sottoposto a un forte disagio.

Diciamo poi ai liceali che la legge prevede che lo Stato aiuti tutte le donne a portare a termine la gravidanza, rimuovendo ostacoli, offrendo sostegno economico e psicologico, diciamo che questa parte sì, questa viene disattesa (a parte l’eroico lavoro dei volontari che comprano omogeneizzati e pannolini): magari verrà loro voglia di battersi perché lo Stato aiuti una loro amica incinta e sola, quella sì che sarebbe una bella ribellione.

Raccontiamo che di ogni donna che si arrende siamo tutti responsabili, perché non l’abbiamo aiutata. Magari una ragazza del Liceo che si sentisse sostenuta da una intera comunità troverebbe il coraggio di dire sì, vedendo i compagni che protestano perché la 194 venga applicata, cioè perché il suo bambino venga trattato come una priorità.

Parliamo ai ragazzi di come si può sentire una donna dopo l’aborto, se persino Planned Parenthood – la fabbrica di aborti più ricca del mondo – ammette nel suo sito, con poche stringate parole, che ci sono “anche” donne che soffrono. Ne vogliamo parlare? Se non sono tutte tranquille con la loro scelta, le vogliamo avvisare le ragazze del liceo? Se il coordinatore dei corsi fosse Platone o almeno uno che lo ha studiato seriamente, inviterebbe di sicuro sia una donna che non ha sofferto per la sua scelta, che una di quelle che continua a soffrire per questa perdita, anche dopo molti anni. Vogliamo dire che persino lo spirito della tanto decantata legge – l’inemendabile 194 – doveva essere quello di aiutare la donna a dire sì alla vita? Vogliamo far parlare una delle tante – tutte quelle che conosco – che dopo dicono “perché nessuno mi ha aiutata? Perché nessuno mi ha avvisata di quanto avrei sofferto? E non mi ha detto “dai, non sei sola, ti aiutiamo noi, questo bambino è un regalo e tutti ce ne faremo carico”?

Questo non significa negare la libertà delle donne, ma semplicemente applicare il metodo della conoscenza che i ragazzi dovrebbero imparare su quei banchi del classico. Raccogliere informazioni, tutte, e farsi un’idea. Emma Bonino che faceva aborti con la pompa di bicicletta e non è pentita, e Abby Johnson, direttrice di una clinica di Planned Parenthood che dopo avere abortito due figli suoi e moltissimi di altre donne ha cambiato idea.

Non è questione di mistica della maternità, so bene che a volte un test di gravidanza positivo ti fa venire voglia di suicidarti, ti sembra la più grande tragedia che potesse abbattersi sulla tua vita. La maternità è una roba complicata, come dice Eugenia Roccella “è un evento complesso, che mescola desiderio e rifiuto, vita e morte, sentimenti di onnipotenza e una devastante mancanza di idoneità. È un evento che si presenta come trascendente e al tempo stesso come totalmente immanente: la vita non ci appartiene, ma si manifesta nel corpo di una donna, mettendo completamente in gioco l’identità femminile” (devo questo e molti altri spunti a un libro di Jorge Randle sulla sindrome post aborto di prossima pubblicazione per la Ares).

Diamo spessore al dibattito sull’aborto, rispettiamo i cuori e le intelligenze dei ragazzi, non usiamoli come carne da propaganda.

Diciamo alle ragazze anche che fare figli non è un diritto garantito dal fatto di avere un utero, avvisiamole del fatto che le scelte hanno delle conseguenze, parliamo anche del fatto che ci sono molte donne che hanno meno figli di quelli che avrebbero voluto, parliamo anche dell’infertilità in fortissimo aumento, diciamo che tra le cause ci sono anche le malattie a trasmissione sessuale e soprattutto l’età: lo stile di vita che ci propongono quindi – divertiti quanto vuoi senza pensare, se capita una gravidanza “interrompila”, poi quando sarai bene assestata sceglierai tu quando e come fare i figli e quanti – è uno stile bugiardo che non mantiene ciò che promette. Vogliamo dare alle ragazze gli elementi per decidere della loro vita con consapevolezza? Magari perché combattano non solo per la carriera, ma anche perché sia una carriera come desiderano, quindi se hanno voglia di fare un figlio giovani non devono poi trovarsi la strada sbarrata?

Qui sì che c’è una lunga battaglia da fare, non per l’aborto. Per quanto mi addolori il dato di fatto è che l’aborto è un diritto sancito dallo Stato, e tale resta dal 1978, sempre garantito, fornito gratuitamente e con la massima tempestività, (persino in tempo di Covid) a differenza di molte altre prestazioni mediche. Quindi perché questa acrimonia nel difendere un diritto mai minimamente minacciato negli ultimi 43 anni? Perché questa intolleranza verso manifesti che dicono semplicemente “chi sceglie la vita vince sempre”? Cosa c’è di offensivo? Non è un’accusa a nessuno, non è un’offesa, e allora perché imbrattare i manifesti Pro vita? Perché non ignorarli come roba di quegli sfigati dei cattolici? Perché mobilitare la Murgia con la storia delle liceali che si ribellano al patriarcato, che fa veramente riderissimo (basterebbe conoscere qualche liceale maschio e femmina in carne ed ossa, ma chi sta sempre sui media non ha tempo per la realtà).

Infine due parole per la preside, che ha semplicemente invitato a riformulare la proposta perché “ha ritenuto che essa non dovesse concentrarsi solo su una dimensione socio-sanitaria ma dovesse acquisire una maggiore rilevanza comprendendo anche altri aspetti essenziali», peraltro «principi fondanti della legge 194» come appunto il sostegno alla vita. Inoltre, essendo materia eticamente sensibile – cioè che cambia in base al sistema di valori di riferimento – ha applicato la legge (nota Miur n.1972 del 15 settembre 2015) che prevede che su queste materie è indispensabile il consenso informato delle famiglie. Questa è vera laicità, questo è vero rispetto della libertà educativa sancita dalla Costituzione.

Fonte: CostanzaMirianoblog.com

Articoli Correlati

Newsletter

Ogni giorno riceverai i nuovi articoli del nostro sito comodamente sulla tua posta elettronica.

Contatti

Sopra la Notizia

Tele Liguria Sud

Piazzale Giovanni XXIII
19121 La Spezia
info@sopralanotizia.it

Powered by


EL Informatica & Multimedia