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Lombardia, stop alla legge abortista basata su falsità

Lombardia, il Consiglio regionale ha bocciato una proposta di legge di iniziativa popolare denominata “Aborto al Sicuro”. Si trattava di un testo, promosso da Pd e M5S che avrebbe reso più spedita la pratica di aborto e limitata la libertà di obiezione di coscienza dei medici. Ed era basata unicamente su affermazioni ideologiche e dati confusi

Sventato in Regione Lombardia l’ennesimo assalto abortista. Il Consiglio regionale ha bocciato la proposta di legge di iniziativa popolare n.76 denominata “Aborto al Sicuro”. Un’iniziativa a forte connotazione politica ed ideologica, se si considera che le 8.436 firme, in realtà, sono state raccolte presso gazebo messi in piedi e presidiati da esponenti del Partito Democratico e del Movimento Cinque Stelle.

Col pretesto di monitorare la «disciplina dell’applicazione della Legge 22 maggio 1978, n. 194, nel territorio della Regione Lombardia», la proposta mirava, in realtà, ad attaccare il diritto dei medici di esercitare l’obiezione di coscienza e a diffondere i mezzi contraccettivi a tappeto, anche mediante un impianto sottocutaneo (LARC) che potesse garantire la sterilizzazione.

L’iniziativa si articolava, sostanzialmente, su quattro direttrici. Primo, «la creazione di un Centro Regionale di Informazione e Coordinamento» che, come compito principale, di fatto, aveva quello di «monitorare» il diritto all’obiezione di coscienza dei medici, registrando le «evidenze in ordine ai rapporti numerici tra personale obiettore e non obiettore nelle singole strutture e la loro posizione contrattuale». Con buona pace, peraltro, del diritto alla privacy. Secondo, consentire la possibilità che «i farmaci prescritti per l’interruzione farmacologica della gravidanza fossero proposti e somministrati anche dai consultori familiari». Terzo, prevedere «il ricovero in giornata delle donne che scelgono l’interruzione farmacologica della gravidanza». Quarto, consentire il fatto che «alle donne che abortiscono vengano offerti dall’ospedale farmaci e dispositivi contraccettivi, compresi quelli a lungo termine reversibili, quali i dispositivi intrauterini al rame o medicati e gli impianti sottocutanei».

Il 4 dicembre 2019 presso la III Commissione consiliare “Sanità e Politiche Sociali” della stessa Regione Lombardia fu espletata un’audizione di alcune associazioni pro-life come il Movimento per la Vita, il Comitato Difendiamo i Nostri Figli, e i Giuristi per la Vita. In quell’occasione, grazie anche alla disponibilità del Presidente della Commissione dott. Emanuele Monti, fu concessa l’opportunità di offrire significativi dati ed elementi di carattere scientifico, giuridico, medico, e sociale, derivanti dall’esperienza pluridecennale dell’associazionismo pro-life italiano. Il punto interessante di tutta la vicenda è proprio questo, ovvero l’importanza del supporto in termini di informazione alla politica da parte di chi vive quotidianamente l’esperienza della difesa della vita in ambito medico, in ambito legale e in ambito sociale.

La proposta di legge “Aborto al Sicuro” è nata, come tutte le iniziative di quel tipo, sulla base di un’esigenza meramente ideologica e non suffragata da alcun dato certo o quantificabile. Basti pensare che nella relazione illustrativa della stessa proposta, si denunciavano espressamente «difficoltà ed ostacoli» all’interruzione volontaria della gravidanza in Lombardia, oltre ad una «fatica nel vedere riconosciuto il diritto ad un aborto sicuro, a ricevere informazioni sulla sua prevenzione e ad accedere alla contraccezione». La relazione collegava, addirittura, «la difficoltà di accesso ai servizi» con le «sempre più frequenti notizie relative all’aumento numerico degli aborti clandestini». Si trattava, però, di affermazioni del tutto generiche che, non a caso, non facevano riferimento ad episodi specifici di difficoltà nell’accesso dei servizi e, tanto meno, riportano un solo caso in cui fosse stato impossibile per una donna alla quale era stata rilasciata la certificazione procedere all’interruzione volontaria della gravidanza. È il solito metodo fondato sulla falsificazione dei dati e su un’abile cortina fumogena che ha sempre caratterizzato le battaglie abortiste fin dagli anni Settanta del secolo scorso. Non dimentichiamo che è grazie proprio a questo metodo che si è giunti all’approvazione della Legge 194/78 in tema di aborto.

Ecco, a fronte della sostanziale fuffa ideologica sulla quale era basata la proposta di legge “Aborto al Sicuro” le associazioni pro-life audite in Commissione Sanità hanno contrapposto dati, cifre, elementi fattuali ed evidenze esperienziali. E com’è noto, contra factum non valet argumentum. La realtà non può essere messa in discussione da mere argomentazioni ideologiche.

Il rischio che corre, a volte, la politica è quello di preferire semplificazione attraverso la scorciatoia del mero scontro ideologico: tu sei di sinistra quindi sei a favore dell’aborto, io sono di destra quindi sono contrario. Tutto sarebbe rimesso, quindi, alla logica dei numeri e delle maggioranze. Così facendo, però, non solo si impoverisce il dibattito, ma i politici sinceramente preoccupati di difendere la vita rischiano di soccombere difronte all’abilità dialettica degli avversarsi, anche se questi ultimi hanno torto. Ci sono profonde ragioni di carattere razionale, logico, giuridico, medico, filosofico, culturale, etico, sociale per combattere l’aborto e la perniciosa semplificazione ideologica che lo difende. Unendo le forze nella buona battaglia è possibile far vincere la verità.

Fonte: Gianfranco AMATO | LaNuovaBQ.it

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