«L’ascesa della tecnologia digitale sta sostituendo i rapporti fondati sulla concorrenza con delle relazioni basate sulla dipendenza, deregolamentando così la meccanica generale del sistema economico e facendo prevalere la predazione sulla produzione». Saremmo sulla soglia di una nuova epoca, sostiene l’economista francese Cédric Durand nel suo ultimo lavoro Techno-féodalisme. Critique de l’économie numérique (Zone, pagine 254, euro 18). L’epoca del tecnofeudalesimo, appunto! E non si annuncia certo rosea né carica di opportunità. «Con la telematica, i diritti di proprietà intellettuale e la centralizzazione dei dati – prosegue lo studioso francese – presuppongono un controllo molto più stretto su territori e individui». Lo scopo del controllo è l’accaparramento di dati, considerati da molti l’oro nero dell’economia digitale. Alle corporation delle tecnologie dell’informazione non interessa promuovere la produzione ma accentuare la predazione, a cominciare da quella dei dati. A scapito degli Stati, che mostrano sensibili segni di indebolimento e di incapacità nel contrastarne l’azione, le big tech, da Amazon a Google e a Facebook, si disputano il controllo del cyberspazio. E lo fanno con uno scopo ben preciso. Controllare la fonte dei dati e centralizzarne l’elaborazione per sviluppare algoritmi efficaci e affinare la ricerca sull’intelligenza artificiale. Per questo Amazon & co. tendono a monopolizzare la catena del valore nella nuova economia digitale.
Accettare la frammentazione dei dati «implica – sottolinea Durand – una distruzione del loro valore d’uso nella misura in cui i bacini di dati ridotti generano algoritmi meno agili e, quindi, dei dispositivi meno comodi per gli utilizzatori». Questo processo di centralizzazione finirà col sottoporre al controllo e alla predazione anche gli aspetti più minuti delle vite quotidiane, quelli che un tempo non interessavano a nessuno. «I più privati frammenti di vita tendono – continua l’economista d’Oltralpe – a essere incorporati nei circuiti digitali e intrappolati nell’oggettivizzazione di una grammatica comune a tutti gli agenti sociali ». Più controllati e dipendenti non sarebbe possibile. La profilazione degli utenti così ottenuta all’apparenza serve a soddisfare i desideri dei navigatori del cyberspazio, ma dall’altro ne mina la libertà di scelta. Il passaggio da utente alla «servitù della gleba digitale» è breve. Si gode del beneficio dei servizi erogati, ma in cambio si offrono le informazioni che servono a rendere più performanti gli algoritmi delle piattaforme.
«Questa dipendenza generale dai proprietari di das digital – a opinione di Durand – è l’orizzonte dell’economia digitale, il divenire cannibale del liberalismo all’epoca del digitale» ma soprattutto è il sintomo che il sistema sociale evolve (o involve) verso forme di nuovo feudalesimo basato su oligarchie e «servitù della gleba digitale» contro cui poco possono gli stessi Stati, la cui nascita deriva proprio dalla neutralizzazione dei rapporti feudali di sudditanza. L’affermarsi delle big tech ridistribuisce il potere all’interno della società contemporanea e produce una riorganizzazione dei rapporti tra le classi sociali. Così la pensa il sociologo dell’Università della California Joel Kotkin nel suo The coming of Neo-feudalism. A warning to the global middle-class (Encounter Books, pagine 266, euro 21,53). Secondo lo studioso americano l’ibridazione tra determinismo tecnologico e capitalismo postindustriale favorisce la nascita di nuove strutture di classe ben diverse da quelle che hanno assicurato il boom economico nel corso del Novecento e lo sviluppo dei diritti civili.
Le nuove oligarchie economiche mentre plasmano il futuro economico contribuiscono a creare una società neofeudale high-tech che mina la democrazia e la mobilità sociale che in passato era assicurata alle classi media e operaia. «La storia – ammonisce il sociologo – non sempre procede in avanti verso condizioni più avanzate e illuminate». Se per Kotkin nel corso dell’epoca medievale e nella prima età moderna la società si articolava in clero (clergy), aristocrazia e terzo stato, oggi non è molto diverso. Cambiano solo gli interpreti ma i ruoli rimangono gli stessi. Al posto del clero, si afferma un nuovo primo stato che Kotkin definisce clerisy, un’élite intellettuale separata dal resto della società e distribuita tra governo, media, università e nuove professioni legate alle tecnologie dell’informazione. Al posto dell’aristocrazia subentra una nuova classe, l’oligarchia, sempre più ricca e potente. Agli esclusi dai nuovi primo e secondo stato invece è vietata quella mobilità sociale che ne ha consentito, in epoca moderna, il riscatto e l’indipendenza. Contro l’epoca moderna, il Neofeudalesimo ipotizzato da Joel Kotkin offre in cambio ai diritti acquisiti in passato solo una crescente e sempre più radicata disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza, come sostiene sulla scia di Thomas Piketty, e lo scollamento tra l’élite culturale e l’oligarchia e il resto della popolazione. La sorte dei prossimi anni è, dunque, già tracciata?
Fonte: Simone PALIAGA | Avvenire.it