Volendo enucleare gli interventi a mio avviso più urgenti, credo che il primo debba riguardare la realizzazione della rete territoriale degli asili nido su scala nazionale a partire proprio da quelle regioni, in particolare, le regioni meridionali che vedono una presenza degli stessi ben lontana da standard di accettabilità. Il nostro primo obiettivo deve essere quello di portare la presenza degli asili nido alla quota del 33% che l’Europa ci sollecitava a raggiungere già entro il 2010.
Secondo il Report per l’infanzia, pubblicato nel giugno 2020 dal Dipartimento delle Politiche per la Famiglia, “Tale dotazione è ancora al di sotto del parametro del 33% che l’Unione Europea aveva fissato già nel 2002 con il Consiglio europeo di Barcellona, come traguardo per gli stati membri da raggiungere entro il 2010 per sostenere la conciliazione della vita familiare e lavorativa e promuovere la maggiore partecipazione delle donne nel mercato del lavoro”. Tra l’altro, “il livello medio nazionale dell’indicatore sintetizza situazioni molto diverse sul territorio, in parte riconducibili al quadro socio-economico dei territori e allo storico divario fra il Centro-Nord da un lato, dove i sistemi di offerta sono più maturi e il Mezzogiorno dall’altro, dove la diffusione dei servizi è molto più limitata.
In alcune regioni del Centro-Nord l’obiettivo del 33% è stato superato da diversi anni, come la Valle d’Aosta, che ha il tasso di copertura più alto in Italia (47,1%), la Provincia Autonoma di Trento, l’Emilia Romagna, la Toscana e l’Umbria . Nelle restanti regioni del Centro-Nord i valori medi regionali sono ancora inferiori al target europeo, ma si avvicinano e talvolta superano il 30% di copertura della popolazione target (è il caso del Friuli-Venezia Giulia, del Lazio, della Liguria). Le regioni del Mezzogiorno, invece,si collocano tutte al di sotto della media nazionale del 24,7%, ad eccezione della Sardegna, che si distingue dal resto dell’area con una disponibilità di servizi comparabile alle regioni del Centro-Nord (27,9%).
Le situazioni più svantaggiate si riscontrano in Calabria, in Campania e in Sicilia, dove meno del 10% dei bambini sotto i 3 anni hanno un posto disponibile nei servizi socio-educativi per la prima infanzia”. È perciò dal raggiungimento di questo obiettivo minimo che può prendere le mosse la lotta alla povertà educativa che coinvolge più di un milione di bambini in Italia. Va infatti, sottolineato che, pur essendo la realizzazione degli asili nido un indispensabile supporto al lavoro delle donne, esso rappresenta innanzitutto una potente risorsa per lo sviluppo armonico del bambino. Per questo motivo, con la Legge n.107/2015 e il successivo Decreto legislativo n. 65/2017 i nidi e i servizi integrativi per la prima infanzia sono stati ricondotti alla sfera educativa piuttosto che al comparto assistenziale, con l’obiettivo di garantire la continuità del percorso educativo e scolastico dalla nascita fino ai sei anni di età. Un bimbo infatti che frequenta un ambiente protetto, positivo e stimolante come è il nido, è un bimbo che si confronta coi pari e con gli adulti/educatori, è un bimbo che attraverso il gioco fa esperienza non solo delle regole ma impara a razionalizzare la realtà attraverso categorie di pensiero (grandezze, colori, dimensioni) che costituiranno poi, una volta arrivato alla primaria, la base embrionale per l’elaborazione del pensiero astratto, così fondamentale nel prosieguo degli studi. Per non parlare poi del fondamentale contributo che uno spazio come il nido offre all’ elaborazione del linguaggio, attraverso il quale il piccolo nomina le cose, se ne appropria, prende coscienza anche della distanza, e comincia ad abitare un contesto spaziale e temporale. Sono opportunità che vanno garantite a tutti i piccoli, a partire da quelli che vivono in condizioni di svantaggio sociale e culturale e dunque a partire dai territori più carenti della presenza di asili nido come sono spesso quelli del Sud. Inoltre, la presenza degli asili nido comporta, come già si è accennato, l’effetto non secondario di sostegno al lavoro femminile in termini di punti occupazionali (nei lavori di cura la presenza delle donne è molto alta) sia perché consente alle donne l’accesso e il mantenimento del loro specifico lavoro, mentre il piccolo è custodito e accompagnato. Insomma, gli effetti benefici di un incremento degli asili nido avrebbero poi ulteriori riflessi anche su quel riequilibrio territoriale e sul gender gap che sono tra gli obiettivi centrali anche del Governo.
Il secondo intervento è di più larga dimensione e comporta il ruolo attivo dei corpi intermedi e del Terzo settore. Occorrono dei veri e propri Patti educativi tra scuola, enti locali, centri educativi perché questi accolgano i ragazzi più fragili subito dopo la scuola. Non bastano infatti il tempo pieno o il tempo prolungato, diritto da riconoscere anche questo con uguale distribuzione in tutto il territorio nazionale, a trattenere nel percorso scolastico ed accompagnare gli allievi con bisogni educativi speciali o difficoltà. Occorre che essi siano inseriti in contesti educativi propositivi che supportino anche le famiglie in difficoltà, coinvolgendole nella presa in carico del minore stesso e nello sviluppo del percorso del suo sviluppo educativo. È questa una vera e propria sfida sociale che il nostro Paese deve assumere come mission centrale del recupero di un protagonismo e di una cittadinanza attiva delle nuove generazioni.
Si coniuga con il rilancio delle politiche a sostegno della famiglia di cui l’assegno universale per i figli può essere strumento utile e opportuno. Forse non sarà sufficiente a invertire la rotta dell’inverno demografico, contro il quale occorrono interventi mirati e di sistema anche nell’individuazione di lavori meno precari e di azioni di welfare, nonché, probabilmente, anche la riscoperta di una nuova dimensione culturale più attenta all’essenzialità delle relazioni, ma sicuramente una rete di interventi può essere una risposta incisiva per il recupero dei ragazzi in difficoltà e il sostegno alle loro famiglie.
E’ auspicabile quindi che, all’interno del Recovery Plan, possa trovare posto il finanziamento di un Piano Nazionale per l’Infanzia che veda tutti gli attori coinvolti.
C’è un ultimo intervento che vorremmo venisse preso in considerazione per l’urgenza del tema: il rapporto tra infanzia e digitale. Un rapporto che richiede interventi a più livelli: il primo intervento deve essere necessariamente educativo. E anche qui è indispensabile il coinvolgimento delle famiglie. Ci siamo detti più volte con qualche stupore, che è la prima volta nella storia dell’educazione che le informazioni e le competenze viaggino al contrario, e cioè, dalle generazioni più giovani a quelle adulte. Ma anche questo è un punto di vista parziale. In effetti, i giovani ci guidano nella competenza tecnica dell’uso degli strumenti digitali, ma neanch’essi posseggono la chiave che ne consente un uso sapiente. Perché l’uso sapiente comporta la conoscenza di obiettivi, scopi, destinatari, contenuti e messaggi la cui veicolazione va in qualche modo decriptata. Senza lo strumento della capacità critica, infatti, tutti noi siamo esposti a un flusso continuo di informazioni ed immagini nelle quali è difficile individuare un centro. Siamo oggetto spesso ignaro e indifeso di fake news che non siamo in grado di controllare. Per questo motivo, occorre potenziare l’educazione digitale a scuola ma occorre anche introdurre elementi di maggior controllo dei contenuti immessi nel web. Da questo punto di vista, ci sembra opportuno sollecitare Governo e Parlamento italiani affinché recepiscano la Direttiva (UE) 2018/1808, (per il cui mancato recepimento siamo dal 23 novembre 2020 peraltro in procedura d’infrazione), concernente la fornitura di servizi di media audiovisivi che ha tra i suoi obiettivi quello di “proteggere i minori da contenuti nocivi e tutti i cittadini dall’istigazione all’odio, alla violenza e al terrorismo” perché introduce una maggiore responsabilità dei gestori nella pubblicazione dei contenuti digitali.
Né infine va dimenticato che i nostri piccoli vanno protetti nel loro rapporto coi media e col digitale. Vanno educati al loro uso ma vanno anche tutelati rispetto alle insidie ad esso connesse e dalle quali non sono in grado di difendersi. Quanto accaduto con la morte della piccola di dieci anni a Palermo, che accetta una sfida estrema senza averne chiara consapevolezza e che comunque risulta iscritta a una piattaforma alla quale per età non avrebbe potuto avere accesso, pone un problema enorme anche sul controllo efficace dei dati anagrafici prodotti per le iscrizioni alle piattaforme digitali stesse.
Stare dalla parte dei bambini non è solo un modo per proteggerli, è piuttosto un modo per investire su una società migliore, più giusta, più solidale, una società come luogo delle relazioni in cui ognuno partecipi pro quota sua alla costruzione del bene comune.
Fonte: Teresa Piccione | InTerris.it