Il ddl Zan antepone il percepito al reale, il soggettivo all’oggettivo. È sorprendente che riceva tanto sostegno in un momento in cui è unanime il coro di chi invoca più scienza, cioè più conoscenza oggettiva
La discussione sul ddl Zan, cosiddetto di contrasto all’omotransfobia, ha fatto emergere un cortocircuito logico su cui forse andrebbe acceso qualche riflettore. Il cortocircuito è dato dal fatto che gran parte dei sostenitori del succitato disegno di legge – cantanti, attori, gente di spettacolo, opinionisti – sono anche ferventi sostenitori del ricorso alla vaccinazione in chiave anti Covid-19. Sono cioè dalla parte di un approccio razionale e scientifico che, pur con tutti i limiti del discorso scientifico, riconosce alla scienza il diritto/dovere di guidare il decisore politico e l’opinione pubblica nel momento in cui si disegna una strategia di contrasto alla pandemia.
Il ddl Zan è antiscientifico
Scienza: cioè conoscenza oggettiva del reale, discorso basato sulla realtà fattuale, sulle cose così come stanno e non su discorsi campati per aria, suggestioni e idee prive di fondamento. Tutto il contrario insomma – ed è qui che si crea il cortocircuito – dell’approccio culturale del ddl Zan, laddove esso afferma invece il principio di percezione contro quello di realtà, appunto:
«Per identità di genere – recita l’art.1 – si intende la identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione».
Conta la realtà, non la percezione
Questo è il vero problema del ddl Zan: il fatto cioè che si antepone il percepito al reale, il soggettivo all’oggettivo. La qual cosa, ripeto, è oltremodo sorprendente nel momento in cui, complice la pandemia, mai come nella contingente fase storica il coro di chi invoca più scienza, cioè più conoscenza oggettiva, è pressoché unanime.
Possibile allora che di tutti gli ambiti del reale solo quello della sfera sessuale, corporea, affettiva, la si chiami come si vuole, debba essere sottratto al discorso scientifico (leggi bene: scientifico, non religioso, non c’entra nulla qui il credo di chicchessia) a favore di un approccio soggettivistico? Con lo stesso principio se uno affermasse di percepire il colore della sua pelle non già bianco ma nero, potrebbe candidarsi a tradurre le opere di Amanda Gorman?
Fonte: Luca Del Pozzo | Tempi.it