Il piano estivo del ministero dell’Istruzione non è l’ennesimo adempimento, ma una possibilità in più per far crescere gli studenti in una adeguata cornice di senso
Il 27 aprile scorso il ministero dell’Istruzione con la Nota n. 643 ha dato mandato alle scuole il cosiddetto “piano estate”, che stanzia 520 milioni di euro per la realizzazione di progetti destinati agli alunni e alle alunne e per l’acquisto di materiali. Si tratta di risorse che, sulla base della libera adesione delle scuole, potranno sostenere attività finalizzate al rinforzo e al potenziamento delle competenze disciplinari trasversali e relazionali-sociali degli alunni del primo e secondo ciclo in tre fasi temporali: giugno, luglio-agosto e settembre.
Ora, va detto che la fine di aprile per qualsivoglia insegnante significa “siamo a maggio, sotto con verifiche e relazioni!”. È un mese che, come dice Alessandro D’Avenia, sembra destinato massimamente a quella “corsa [con] alle calcagna un cane rabbioso”, ossia la produzione di voti. In un contesto in cui, specie al secondo ciclo, un certo numero di studenti e studentesse sono spariti. La fatica e il carico della pandemia su studenti e professori, come dice la stessa Nota, sono stati pesanti e la chiusura di quest’anno scolastico si preannuncia altrettanto faticosa per tanti aspetti.
Il 27 aprile, dunque, ho letto con un senso di smarrimento e quasi di incredulità: ma come può il ministero chiederci questo, adesso? Come può pensare che le scuole possano progettare insieme alle associazioni del Terzo settore prima della fine di maggio? Ho avvertito, insomma, l’ennesimo scollamento tra chi guida la scuola e la scuola reale. Ancora una volta, dolorosamente.
Tuttavia ho iniziato a chiedermi se forse, dentro questa iniziativa, c’era qualcosa che non stavo guardando, degli aspetti che mi sfuggivano.
Ho iniziato a chiedere a colleghi amici e ho riletto la Nota che, a un certo punto, dice: “L’apprendimento non consegue necessariamente da un insegnamento formale. Per intenderci potremmo utilizzare un famoso verso di John Lennon: ‘la vita è ciò che ci accade mentre facciamo altro’. Anche molta parte dei nostri apprendimenti avvengono in questo modo. La scuola ha il compito di ricollegare apprendimenti informali (‘sparsi’ e a volte inconsapevoli) degli alunni, in questo periodo di pandemia, con quelli formali. I mesi di giugno e settembre, in particolare, potranno consentire di consolidare in modo compensativo apprendimenti formali”. E, insiste la Nota, la cosa fondamentale è che ciò che verrà proposto sia in una cornice di senso, tesa a conoscere la realtà di ciò che stiamo vivendo oggi.
I miei amici e colleghi, tra cui alcuni della scuola primaria e delle medie, mi hanno fatto pensare ai miei alunni, a certi quartieri della mia amatissima Palermo, ai ragazzi costretti a casa davanti al computer o al cellulare, senza motorino per andare al mare, alcuni senza più amici; tanti hanno visto le amicizie dissolversi in questi mesi, scoprendo dolorosamente che si ha bisogno di amicizia vera, non di mero intrattenimento.
Quanto potrebbe offrire loro il territorio grazie ai fondi che permetterebbero di ingaggiare associazioni culturali, club sportivi, di aprire le porte di centri ricreativi, per attività all’aperto, escursioni, visite nei parchi naturali, percorsi significativi di scoperta e riscoperta della socialità in presenza! E quanta professionalità educativa non scolastica, ma non meno valida potrebbe rimettersi in moto!
Un giorno è bastato a spostare la mia prospettiva, incrinando il mio scetticismo iniziale.
Guardare a questa possibilità con il “frame” della scuola fatta di apprendimento formale/valutazione negativa/corsi di recupero che, come ha detto recentemente Recalcati, è diventata la scuola della “produttività” e dei programmi, povera di relazione umana e di senso, non può che proiettare su questa iniziativa un senso di disgusto che, in realtà, nasce dall’insoddisfazione e dalla stanchezza di una routine scolastica diventata insostenibile e alienante per tutti. Anche per una certa cultura della “progettìte”.
Invece credo che ci sia in ballo “altro” e questo “altro” non è meno apprendimento (forse, anzi, potrebbe esserlo di più) di quello che testiamo con le interrogazioni di maggio.
Se alcuni dirigenti e alcune scuole, liberamente, avranno il coraggio e la determinazione – pur tra i limiti imposti dai tempi stretti, dalla stanchezza e dagli interrogativi dell’oggi – di mettersi in gioco e di collaborare con tante associazioni del terzo settore del proprio territorio (la cui opera e creatività instancabili sono tra l’altro riconosciute come elemento prezioso del tessuto sociale italiano), offriranno una grande possibilità a tanti giovani, in una imprevista cornice di senso.
Fonte: Cinzia Billa | IlSussidiario.net