Le ragioni offerte dal deputato Khalid Mahmood per spiegare le sue dimissioni dalla leadership del Labour dovrebbero suggerire qualcosa anche al Pd follower di Fedez
All’Enrico Letta che twitta cose sbagliate – l’ultima in ordine di tempo è l’appello ad «approvare subito il ddl Zan» – potrebbe giovare lo studio delle ragioni con cui Khalid Mahmood ha motivato qualche giorno fa le sue dimissioni da ministro della Difesa del “governo ombra” laburista. A dire il vero, tutte le ultime vicende del principale partito della sinistra britannica, passato dalle mani di Jeremy Corbyn a quelle di Keir Starmer poco più di un anno fa, dovrebbero suggerire qualcosa al Letta che si fissa su omofobie, ius soli, quote rosa, lockdown e via twittando.
Esattamente come capita al Pd italiano da un po’ di tempo a questa parte, infatti, anche in Inghilterra il Labour sta perdendo pezzi e roccaforti storiche a vantaggio dei tories. «Si è sbriciolata la Muraglia Rossa laburista», ha scritto il Corriere della Sera raccontando della disfatta progressista nella città operaia Hartlepool, rimasta fedelmente di sinistra fino alle elezioni amministrative di inizio maggio. (In realtà un chiaro scricchiolio si era udito già in occasione del referendum del 2016, quando questo collegio aveva votato al 70 per cento a favore della Brexit e dunque contro le indicazioni dei laburisti).
«I social media dettano la linea»
Proprio dalla clamorosa sconfitta a Hartlepool ha preso spunto Khalid Mahmood per criticare in un articolo per Policy Exchange e in una bella intervista a Spiked il partito di Starmer che ormai «si fa dettare la linea dai social media». E che «invece di sostenere i lavoratori, riprende in mano le stesse battaglie identitarie degli anni Settanta».
In Parlamento dal 2001, musulmano di Birmingham, Mahmood ha scritto nel suo commento per Policy Exchange all’indomani del voto:
«La mia idea è semplice: nell’ultimo decennio, il Labour ha perso contatto con le persone ordinarie. Una borghesia londinese, con il sostegno di brigate di giustizieri da social media, è riuscita a prendere in ostaggio il partito. Naturalmente hanno buone intenzioni, ma la loro politica – ossessionata dall’identità, dalle divisioni e perfino da un utopismo tecnologico – ha più cose in comune con l’alta società californiana che con la gente che ha votato ieri a Hartlepool. Nell’ultimo anno le voci più forti del movimento laburista si sono concentrate più sull’abbattere la statua di Churchill che non sull’aiutare le persone a farsi strada nel mondo. Non mi stupisce che sia andata meglio tra i ricchi liberal delle città e tra i giovani laureati che nella parte più importante del suo elettorato tradizionale, la classe operaia».
A chi parla la sinistra
Non è difficile immaginare come commenterebbe Mahmood l’appiattimento acritico del Pd di Letta sulle posizioni di Fedez, il testimonial di Amazon che sfrutta il palco della festa dei lavoratori per fare la morale agli “omofobi”.
Ha detto Mahmood a Spiked:
«Non possiamo permetterci di farci dettare la proposta politica dai social media. Non possiamo permetterci di non comprendere che cosa sta attraversando il cittadino medio. I social media dovrebbero essere un mezzo per coinvolgersi con le persone, non per decidere la linea e poi obbligare la gente ad accettarla.
Nelle nostre comunità ci sono oggi divisioni su cose come il monumento a Churchill. Ma abbiamo una storia che non si può riscrivere, per quanto lo si desideri. Al contrario, della storia dobbiamo imparare la lezione. Dobbiamo riconoscere che sono successe cose brutte nel passato, in un’era diversa e con diversi modi di vedere la realtà. Invece di combattere battaglie di cento anni fa, dovremmo concentrarci sul migliorare le cose per il futuro.
Basta con le politiche che segregano le persone. Basta con i finanziamenti sulla base dell’appartenenza a un gruppo etnico o a un altro. Questa è politica della divisione. Invece dovremmo sostenere tutti. Dovremmo guardare ai bisogni dell’intera comunità di ciascuna area e capire come mettere insieme le persone. Questo deve fare il Partito laburista. Deve unire la gente».
Non siamo tutti razzisti e omofobi
E non solo è comprensibile che in tempi di Covid e recessione le persone comuni abbiano problemi un po’ più urgenti dei presunti allarmi omofobia, sessismo, razzismo: secondo il deputato musulmano britannico non è nemmeno vero che le nostre società occidentali siano poi così piene di omofobi, sessisti e razzisti bisognosi di rieducazione. Insomma, Mahmood parla a Starmer ma sembra averne per tutti, Biden compreso.
Ancora dall’intervista a Spiked:
«Se vuoi fare un incontro sulla giustizia razziale, non farlo su Twitter. Va’ là fuori e parlane con le persone. […] Quando mi sono candidato nel 2001, i compagni del Partito laburista dicevano che non sarei stato eletto, perché gli indiani non avrebbero votato per un candidato del Kashmir, gli afro-caraibici non avrebbero votato per un asiatico e nemmeno i bianchi essendo razzisti avrebbero votato per me. Alla fine ho ottenuto una maggioranza di 7.000 voti. Mi avevano votato persone di tutte quelle comunità. A riprova che le persone non sono divise come gli altri vorrebbero».
La sinistra contro i lavoratori
Non è finita. La sinistra secondo Mahmood non dovrebbe intestardirsi su certe irragionevoli battaglie ambientaliste, specie quando a farne le spese sono i ceti “inferiori” (e qui ogni riferimento a Beppe Sala e alla sua campagna pro piste ciclabili non sarebbe stato casuale né fuori luogo).
«Prendete l’iniziativa Low Traffic Neighbourhood [quartieri a basso traffico, ndt]. A Birmingham ce l’abbiamo e sta causando problemi enormi. La gente deve fare dei giri pazzeschi a causa di questo progetto. Certo, uno può dire che si dovrebbe tornare all’epoca in cui non c’erano auto per strada. Ma rendetevi conto di chi ne soffre: la classe dei lavoratori. Queste persone non possono permettersi un’auto di nuova generazione, e così saranno penalizzate. Non dobbiamo usare l’ambiente come un bastone con cui picchiare i lavoratori».
I problemi degli elettori
Le persone comuni, va spiegando in lungo e in largo il laburista musulmano, non hanno i problemi di immagine degli influencer, se ne fregano di cosa pensa “il popolo di Twitter” o il guru di Instagram di turno. Le persone comuni hanno il problema del lavoro, la fine del mese, la sanità, la scuola. È per questo, e non per ignoranza o xenofobia, che in Inghilterra hanno votato a favore della Brexit, ed è proprio a loro che il Labour dovrebbe rivolgersi, non ai loro profili social.
Ancora Mahmood per Policy Exchange:
«Il Labour sbaglia se pensa che tutto ciò sia nostalgia e sguardo al passato. Riguarda anche il presente. La gente sul campo, lontano dalle élite e dai dibattiti accademici della capitale, vuole che funzionino le cose essenziali. Le persone vogliono un lavoro sicuro per sé – non contratti a zero ore – e un futuro promettente per i figli e i nipoti. Vogliono un sistema sanitario nazionale che funzioni e non le faccia attendere mesi per una operazione o settimane per un appuntamento dal medico. Vogliono investimenti in infrastrutture e nel trasporto come autobus più puliti e più verdi. Soprattutto, vogliono essere ascoltate. Che disperazione quando il nostro consiglio comunale ha ignorato una petizione con 15 mila firme per un nuovo cavalcavia. Talvolta la spocchia di chi crede di saperla più lunga si vede anche a livello locale. […]
C’è bisogno di umiltà, tanto per cominciare. Se il Labour vuole riprendersi collegi come Hartlepool dovrà far cambiare idea a persone che ieri hanno deciso di votare conservatore. Esiste il pericolo che il nostro partito, nella sua opposizione e confusione sulla Brexit, abbia sbandato verso un atteggiamento antibritannico? Io di certo temo che questo sia il pensiero di alcuni dei nostri ex sostenitori».
Non esistono solo gli elettori di Londra che «lavorano dalle caffetterie o da casa, quelli che vanno in giro coi loro laptop e si mettono dove vogliono», ha ribadito ancora Mahmood parlando con il Guardian. La maggior parte delle persone, in Inghilterra come in Italia, deve fare i conti con una realtrà: «Dobbiamo uscire e metterci a lavorare davvero sui problemi reali».
Fonte: Pietro PICCININI | Tempi.it