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Lui si suicida dopo aver ucciso le figlie: Giulia torna a vivere grazie alla fede

Giulia, annientata dal dolore per l’uccisione delle due figlie da parte dell’ex marito, grazie alla fede e a un angelo sotto le spoglie di uno psichiatra, ritrova la forza di ricominciare a vivere e tornare madre.

A volte anche il libro più insospettato sa regalarti storie eccezionali, testimonianze incredibili. Il testo a cui mi riferisco tratta del suicidio nelle forze dell’ordine, un fenomeno gravissimo molto più frequente di quello che possiamo immaginare quando scopriamo che è la prima causa di morte violenta per gli operatori di polizia. “Il suicidio dentro la divisa. Il dovere di proteggere i protettori anche da sé stessi” (Laurus Robuffo editore, 2021).

Il suicidio degli uomini in divisa

Lo ha scritto Luigi Lucchetti, mio padre – medico, psicologo clinico e psicoterapeuta – che dal 1981 ha svolto la sua attività professionale nell’ambito del Servizio Sanitario della Polizia di Stato, da cui si è congedato nel 2018. L’anno in cui è nata la mia prima figlia (e sua prima nipote). Ero contentissima di questa felice coincidenza, pensai subito: “Così ora che va in pensione potrà aiutarmi!”.

E infatti è stato proprio così: mi ha aiutato con la piccola, con il secondo arrivato l’anno seguente e son certa che se la caverà anche con la terza che verrà al mondo tra poco. Ma nel frattempo altro che pensione! Ha continuato a lavorare tanto, a studiare, a scrivere moltissimo di un tema che gli sta particolarmente a cuore, quello del suicidio degli operatori in divisa.

Dare un senso “positivo” alla morte autoinflitta

Da anni si batte e si impegna per informare e informarsi su questo doloroso fenomeno, “nel tentativo di dare un senso “positivo” alla morte per mano propria dei tanti, troppi che si suicidano in uniforme” (p. 27). E soprattutto ponendo l’accento sull’importanza fondamentale della prevenzione, liberandosi da due trappole mentali in particolare che sabotano l’attenzione e gli sforzi necessari per contenere questo fenomeno.

La prima, quella “del tutto o nulla”, può essere tradotta in: “che senso ha combattere contro un fenomeno che sappiamo essere ineliminabile?” La seconda ancora più pericolosa, quella del “ciò che non si può prevedere non si può nemmeno prevenire”, si basa sulla domanda retorica: “ma se non si può individuare chi si suiciderà, che senso ha parlare di prevenzione?” Pregiudizi, miti e trappole mentali sul suicidio hanno il potere di renderci passivi spettatori di un dramma che è nitidamente davanti i nostri occhi, ma che – dopo il funerale di turno e lo sterile rumore dei primi giorni – puntualmente si rinnova tale e quale, perennemente inghiottito dai vortici della corsa sfrenata delle nostre esistenze distratte da altro, proprio per impedirci di pensare e sentire. E in particolare di riflettere fino in fondo su una domanda cruciale: chi può e deve proteggere i protettori da sé stessi?

(p. 28)

Il suicidio è l’omicidio di se stessi

Mi viene in mente la frase della Genesi: “Sono forse io il custode di mio fratello?” risponde Caino a Dio dopo aver ucciso suo fratello Abele.

Nel suicidio, che è l’omicidio di se stessi, la morte arriva per mano propria eppure in qualche modo dobbiamo tutti farci carico di quella vita spezzata.

Un omicidio-suicidio per mano di un padre

Spezzata a dir poco, come quella della protagonista della testimonianza che voglio presentarvi oggi, che si trova nella parte quinta del libro che raccogliere dodici storie suicidarie tutte diverse l’una dall’altra. Questa la condividiamo con voi perché getta una luce di speranza su una tragedia indicibile. Orrore e stupore, i due opposti che contraddistinguono questo spaccato di vita. Protagonista è una famiglia, una famiglia non più unita purtroppo come tante, madre e padre sono entrambi poliziotti, dal cui amore sono nate due bambine.

Trovare la forza di ri-vivere

Il papà una mattina va a prendere le figlie per uscire, ma non le riporta alla moglie nell’orario pattuito. Da lì a poco si scoprirà la tragedia e calerà la notte oscura nella vita di Giulia, una donna col cuore tagliato a pezzi dal dolore più atroce che si possa immaginare per una mamma. Eppure, grazie alla profonda fede che la accompagna da sempre, al sostegno di un professionista della salute mentale e all’affetto sconfinato della sua grande famiglia d’origine, Giulia piano piano si rialza.

Rialzarsi guardando al dolore degli altri

Per guarire se stessa si fa prossima dei più piccoli, delle più piccole anzi, delle bambine orfane, in una casa famiglia. Spesso per superare il proprio abisso, o almeno tentare di levare lo sguardo da quel nero senza fine in cui la sofferenza ci imprigiona, è necessario volgere gli occhi e le mani verso il dolore di un altro, prendersene cura, farsene carico. Ma il viaggio di rinascita di Giulia non finisce così, questo è solo l’inizio di una più sorprendente, speranzosa e sbalorditiva riscoperta della vita.

Ecco la storia così come è stata raccontata da mio padre, a cui Giulia una mattina ha aperto per la prima volta il cuore. I nomi sono ovviamente di fantasia per rispettare la privacy dei protagonisti di questa vicenda.

Un giorno perfetto

Roma, un mattino di settembre del 1997.
Angelo, un poliziotto appena andato in pensione passa a prendere dalla ex-moglie e collega da cui si è appena separato le piccole Ludovica e Vittoria, 4 e 7 anni, per portarle a giocare con i cuginetti.

Sono da poco passate le 19 ma Giulia è già in ansia non vedendo tornare le bambine e non riuscendo a mettersi in contatto con il padre. Va in Commissariato, dove cercano di rassicurarla che in fondo è solo un ritardo, ma uno strano presentimento si è ormai impadronito di lei. Arriva la notte ed il mattino del giorno dopo senza notizia alcuna.

Giulia è in Questura e, ad un certo punto, un Medico della Polizia insiste perché prenda un calmante mentre quasi contemporaneamente le viene detto che le bambine sono state ritrovate. Non capisce granché in quel momento, forse non vuole capire, ed intanto il fratello medico che l’ha raggiunta la convince a seguirlo da uno psichiatra.

Fuori intanto, sotto un ponte, è stata ritrovata l’auto con tre corpi straziati da colpi di arma da fuoco, quello del conducente impugna ancora una pistola. Giulia, imbottita di psicofarmaci, si ritrova sdraiata nel letto di casa sua e VEDE nitidamente, sul letto accanto al suo, le sue due bambine che giocano felici con una palla: in quel momento sente che sono morte e sono lì per congedarsi dalla madre prima di trasmigrare nell’altra dimensione.

Per alcuni giorni non farà che dormire sedata dalle “bombe” di tranquillanti che le vengono dati, e che continuerà ad assumere a dosi massicce per quattro mesi. Intanto due volte la settimana inizia ad incontrare uno psichiatra della Asl, lo frequenta volentieri, anzi non vede l’ora che arrivi il momento dell’appuntamento.

Nicola è pugliese come Angelo ma lui è un ANGELO vero, che la aiuta pian piano a guardare ed affrontare l’abisso della disperazione. Dopo quattro mesi è la paziente che gli chiede di interrompere i farmaci: appena il loro effetto si attenua Giulia sente FISICAMENTE un dolore al petto così forte da credere di avere un infarto.

Quel dolore che è stato solo ritardato dalla chimica si impadronisce completamente per un po’ del suo corpo, ma accanto a lei, insieme a Nicola, c’è la sua solidissima famiglia: padre, madre e sei fratelli che le si stringono intorno e la sostengono, oltre alla fortissima fede cristiana che fin da piccola le è stata trasmessa in casa.

La terapia sta andando avanti da un anno quando lo psichiatra le comunica di ritenere che non ha più bisogno di lui, e che ormai è in grado di riprendere con le sue sole gambe il cammino della vita: ma se sarà necessario la porta del suo studio rimarrà sempre aperta per lei. Giulia ci rimane molto male, anzi sente nuovamente quel male nel petto ma è meno forte stavolta.

Non sa bene come, ma inizia a frequentare una casa famiglia dove sono ospitate tante bambine orfane o in affidamento con storie difficili alle spalle: lì la chiamano “la signora che porta i giocattoli”, perché quando va a trovarle regala loro i tanti giochi che appartenevano a Ludovica e Vittoria. Per due anni non potrà fare a meno del rapporto con questo luogo dove sente l’enorme bisogno di affetto che queste creature cercano senza chiederlo con le parole.

Intanto dopo otto mesi da quel settembre è tornata al lavoro, alla sua divisa, che è stata anche quella di Angelo ed a motivo della quale si erano conosciuti. Ha non poco timore all’inizio, ma scopre che l’ambiente le si chiude e stringe attorno in modo estremamente protettivo: decide di rimanere lì e di rinunciare all’idea di chiedere un trasferimento che aveva maturato prima del rientro, per difendersi dai tanti fantasmi che assediano la mente di chi vive una storia terribile come la sua.

Dieci anni dopo quel settembre del 1997 Giulia conosce Giuseppe, di qualche anno più grande di lei, e sente che si può fidare di quest’uomo solido e tranquillo che, insieme a quanto Nicola ha fatto per lei, le offre la possibilità di tornare ad avere fiducia nel genere maschile.

Agosto 2009: Giulia ha 45 anni, è stata sempre regolare con il ciclo ma questo mese non è arrivato, d’altronde anche la madre è andata in menopausa più o meno a quest’età.
Maggio 2010, nasce Rebecca: UN GIORNO PERFETTO.

Giulia sa che ci sarà un altro giorno perfetto, quello in cui due angeli di nome Ludovica e Vittoria la verranno a prendere per accompagnarla nell’altra dimensione. Intanto ha un volto pieno di luce e continua a vestire una divisa azzurra e blu.

(pp. 180-181)

“Chi non ama rimane nella morte”

La storia di Giulia incarna perfettamente un versetto della prima lettera di San Giovanni che mi è capitato di scrutare qualche giorno fa, me l’ero appuntato sull’agendina per non dimenticarlo. Dopo aver letto queste pagine sono andata a riprenderlo perché credo che nella vita di Giulia questa Parola di Dio si sia davvero compiuta:

Chi non ama rimane nella morte.

(1Gv 3, 14)

E questa mamma così profondamente ferita si è affidata alla grazia di Dio che fa nuove tutte le cose. Non è rimasta prigioniera dello scandalo della morte, ha scelto di continuare ad amare.

Fonte: Aleteia.org

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