l card. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura e del Comitato scientifico-organizzativo vaticano per le celebrazioni del settimo centenario della morte del poeta, sottolinea il senso della sua conferenza sulla teologia di Dante, venerdì 28 maggio nella basilica di Santa Croce a Firenze, all’inizio dell’intervista incentrata sull’attualità del Sommo Poeta
“La teologia non è solo una questione di alcuni specialisti ma dev’essere a livello di tutti i fedeli, come approfondimento della fede, e in seconda istanza è un fenomeno culturale fondamentale”. Con queste parole il card. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura e del comitato scientifico-organizzativo vaticano per le celebrazioni del settimo centenario della morte del poeta, sottolinea il senso della sua conferenza sulla teologia di Dante, venerdì 28 maggio nella basilica di Santa Croce a Firenze, all’inizio dell’intervista incentrata sull’attualità del Sommo Poeta che ci ha gentilmente concesso alla vigilia dell’incontro.
Eminenza, il fatto che venga a parlare in pubblico della teologia di Dante dimostra quanto creda alla necessità di considerare questa materia anche sotto un profilo divulgativo: ma secondo lei i teologi italiani e contemporanei riescono a farlo?
Le discipline teologiche sono molte e per tutte da una parte c’è ancora – com’è giusto d’altronde – un’elaborazione tecnica che però talvolta si esaurisce lì e diventa autoreferenziale (ci sono pagine di taluni teologi italiani e stranieri che faccio fatica anch’io a leggere!), dall’altra c’è un tentativo sempre più marcato di divulgazione. Divulgare è sempre un po’ approssimare, ma è necessario. Dante sicuramente conosce il linguaggio tecnico, vive e conosce tutto l’orizzonte teologico, lo ha studiato con estrema profondità. Dall’altra parte però è riuscito, attraverso le immagini e la potenza della poesia, a renderlo trasparente e comprensibile: non tutto, perché per poterlo comprendere in pienezza bisogna avere l’attrezzatura adatta, comunque riesce a rivelarne sempre la sostanza.
Un esempio da seguire, quindi…
Sì, e a questo proposito Raffaello, nella Stanza della Segnatura in Vaticano, ha rappresentato Dante nella Disputa del Sacramento, tra la Chiesa militante, ma anche nell’affresco che raffigura il Parnaso, accanto a Omero e Virgilio. Da un lato troviamo la verità della riflessione teologica, dall’altro la bellezza e la profondità della poesia. Una grandezza raggiunta dall’arte a cui anche i teologi, pur non avendo tali capacità, dovrebbero aspirare, affiancando al linguaggio tecnico lo sforzo di comunicare in maniera luminosa, trasparente e creativa.
Come si legge nel verso del XXXI del Paradiso che dà il titolo alla sua conferenza, siamo chiamati a giungere all’eterno dal tempo ma anche, immagino, a vivere pienamente nel nostro tempo, con tutti i suoi problemi e le sue contraddizioni…
Direi che in questo senso sono fondamentali l’Inferno e il Purgatorio, perché l’Inferno rappresenta il fango dentro cui noi siamo immersi e nella stessa Lettera apostolica di papa Francesco per il centenario di Dante, la Candor lucis aeternae, c’è una sottolineatura dell’umanità nella sua completezza, nella sua carne e nella sua carnalità. Siamo invitati a essere fedeli al nostro tempo anche attraverso una posizione che purtroppo viene equivocata ai nostri giorni, cioè quella dello sdegno, che non è l’ira. Oggi domina invece l’aggressività, soprattutto in questo periodo; magari non si rispettano le regole, si cerca di violarle o quasi di cancellarle per ragioni contingenti e anche comprensibili, ma non c’è la capacità di indignarsi quando vediamo esempi di corruzione o violenza, come quella sulle donne. C’è aggressività soprattutto nei viali dell’informatica; non c’è invece la capacità di indignazione e sdegno che è lo schierarsi verso la giustizia, la libertà, la pace. Ecco allora l’importanza del Purgatorio, che è per eccellenza l’orizzonte, l’area, il periodo della catarsi, della purificazione, della conversione e che permette l’accesso alla vetta del monte e alle sfere celesti, a quel punto terminale che è alla base di tutta la traiettoria che Dante vuole rappresentare, la redenzione e la salvezza.
Nel Sommo Poeta questa dirittura morale certamente non mancava…
Certo. Per questo Dante rappresenta di per sé anche una sorta di lezione al nostro tempo che vive all’interno di grandi contraddizioni e sofferenze, ma senza quello spiccato senso etico che c’era nel passato e che lui ci ricorda, facendo al contempo balenare sempre la possibilità della liberazione, della salvezza, della conversione. È quanto deve predicare anche la Chiesa, in una società superficiale in cui tutto è grigio e dove bene e male, giusto e ingiusto, vero e falso si sciolgono più o meno in un indistinto: il ritorno a un senso morale, tornare ancora a dare spessore a questi valori come fa il Poeta. Al tempo stesso, mostrare che il cristianesimo è un annuncio di salvezza e di speranza. E ha ragione papa Francesco alla fine della Candor lucis aeternae quando fa riferimento alla scuola, che dovrebbe non soltanto istruire ma anche educare, cioè estrarre valori dai ragazzi: per questo i docenti che insegnano Dante dovrebbero essere come lui. Il suo è uno sguardo che va oltre, che è di liberazione, e quindi occorre educare a questa diversità, attraverso non necessariamente una catechesi – che non deve fare il docente – ma mostrando che l’umanesimo autentico è respiro verso l’infinito e l’eterno.
A proposito di Chiesa, mi permetta di chiudere con una provocazione: dove metterebbe Dante la Chiesa d’oggi?
Direi prima di tutto che sarebbe molto vicino ai due ultimi papi e contento di loro. Da un lato papa Benedetto, che ha sottolineato l’importanza dei fondamenti della fede, e come ci sono i tre canti (XXIV, XXV, XXVI) dedicati alle virtù teologali ci sono le sue tre encicliche dedicate a fede, speranza e carità. Dall’altro papa Francesco con la sua insistenza su perdono, attenzione agli ultimi, liberazione, salvezza e redenzione che viene offerta a tutti. Ma potrebbe mettere nel suo Inferno, o perlomeno nel Purgatorio, certi ambienti pieni di acrimonia e aggressivi. Anche ai suoi tempi c’erano realtà ecclesiali profondamente diverse, però lui sottolinea in maniera straordinaria la capacità di dialogare; lo ha fatto in maniera molto suggestiva per far capire che anche quando si ha una visione diversa, questa non deve diventare aggressiva come si vede oggi in certi siti: e infatti a cantare Francesco è Tommaso d’Aquino, che è domenicano, e a cantare invece Domenico è il francescano Bonaventura. Dante fa sì che le lodi reciproche siano piuttosto l’anima del rapporto, quando si cerca davvero la verità: sicuramente si sarebbe trovato a disagio con queste forme così aggressive e avrebbe magari messo all’Inferno i siti che nascondono soltanto veleno, non hanno la dialettica del confronto e del dibattito ma cercano semplicemente lo scontro. E avrebbe fatto forse la stessa cosa per la politica, che si rivela anch’essa tante volte così incapace di avere un confronto alto. Tuttavia non è che lo possiamo strattonare più di tanto….
I tre punti essenziali della lezione in Santa Croce
All’etterno dal tempo (Paradiso, XXXI 38): la teologia di Dante». Questo il titolo della lezione che il cardinale Gianfranco Ravasi tiene venerdì 28 maggio alle 17 nella basilica di Santa Croce. Tre i punti essenziali toccati: il primo, sottolineato anche nel titolo, è che per Dante – afferma il cardinale – “il tema capitale teologico è l’intreccio tra il divino e l’umano e quindi la possibilità di Dio di avere un volto umano e di una religione incarnata, che non decolla dalla realtà verso cieli mistici ma ha alla base il tempo e la storia e d’altra parte la tensione verso la trascendenza, l’eterno e l’infinito”. Secondo elemento importante, sottolineato da papa Francesco nella Lettera spostolica Candor lucis aeternae del 25 marzo scorso, è che la vita stessa di Dante e il suo viaggio hanno “due stelle di riferimento: il desiderio insito nell’animo umano e la felicità che è la visione dell’amore che è in Dio come punto terminale”; un cammino sostenuto dalla misericordia e dalla grazia ma anche caratterizzato dalla libertà umana. Infine, il vero e proprio esame di teologia cui Dante viene sottoposto da san Pietro nel XXIV canto del Paradiso, che termina con un “credo” legato in particolare alla creazione e alla Trinità, complesso ma essenziale per comprendere veramente il poeta.
Fonte: Lorella Pellis | AgenSir.it