Si parla di crisi della Chiesa e di strategie per rilanciare l’evangelizzazione. Non sono in grado di dire se questa crisi ci sia davvero, perché, è vero, le chiese sono svuotate, ma secondo me non sono certo i numeri a misurare “il successo” della fede.
“Che bello, il covid ha accelerato di una decina d’anni un processo che era inevitabile” – mi ha detto, sorprendendomi, un sacerdote molto bravo, che immagino voglia rimanere anonimo. Ci ha aiutati, mi spiegava, a fare più velocemente piazza pulita di un cristianesimo “culturale”, borghese, ereditato e dato per scontato, che invece è sempre più estraneo alla cultura nella quale viviamo immersi.
Ma come rilanciare l’evangelizzazione? Pare che se ne parlerà al prossimo Sinodo. Ecco, io non capisco neppure la domanda, a dire la verità. La Chiesa ha una cosa grandissima, che nessun altro nell’universo ha: il potere di dare agli uomini il corpo stesso di Dio, da mangiare. Solo attraverso la Chiesa entriamo in un rapporto reale con Dio, con il Dio vivo, che diventa, se glielo chiediamo, se lo supplichiamo, più intimo a noi di noi stessi. Cioè, noi siamo figli del Re dei Re: possiamo metterci a elaborare strategie per farci seguire? Dovrebbero essere gli altri a supplicarci di farli entrare.
Dio stesso ha voluto che il suo rapporto con ciascuno dei suoi figli fosse mediato dalla Chiesa: cioè, non puoi mangiare il corpo di Dio se non attraverso la Chiesa, non puoi accollare tutti i tuoi peccati a Dio se non attraverso la Chiesa, non puoi diventare figlio di Dio se non attraverso di lei, col battesimo: insomma ha un’esclusiva assoluta su tutti i diritti mondiali, è un canale che dovrebbero volere tutti, ed è pure gratis. Ci dovrebbe essere la fila per strada, tutti a chiedere di abbonarsi.
Se non succede è per due ordini di motivi, secondo me: uno, perché tanti di noi che siamo nella Chiesa non ci crediamo davvero. Non crediamo alla presenza reale di Gesù nell’eucaristia, e non crediamo che la morte è stata sconfitta, che noi possiamo non morire più, che la vita eterna è una cosa reale, che può cominciare già da qui, già sulla terra, per chi entra in un rapporto vero e vivo con Dio.
Il secondo motivo, che discende direttamente dal primo, è che non preghiamo abbastanza, per chiedere la salvezza nostra e dei fratelli.
E poi va be’, ce ne sarebbe un terzo: c’è la libertà di ogni uomo e di ogni donna di dire no a Dio, e Dio rispetta questa libertà. Ma chiede a noi di farci carico degli altri. Di essere lievito, sale. Quindi un pizzico nella pasta.
Io alle grandi masse di persone col cuore conquistato da Cristo non credo, credo però che ogni cuore debba essere sempre più conquistato, incendiato da Cristo. Quando incontri una persona così ti viene voglia di seguirla, di chiederle che droga assume, da quale pusher va. A me è successo così con la messa quotidiana: ho deciso di provare ad andarci perché mi ha colpito la bellezza di una donna che lo faceva.
Quando il cuore appartiene a Cristo, magari ancora non del tutto però lo stai chiedendo, magari mentre ti converti, ci stai provando, ma intanto mischi la tua carne con la sua, e lo cerchi… ecco quando sei in questa tensione verso Dio, allora ti viene non dico facile, ma possibile, vagamente pensabile volere bene anche a quelli antipatici, condividere quello che hai anche se hai paura di non riuscire a mettere da parte nulla per i tuoi figli, buttare la carta nel cassonetto giusto, e fare tutte le altre cose di cui sembra sia importantissimo parlare anche nella Chiesa. Sono tutte cose giuste, ma prima di tutto il lavoro è su noi stessi, sul nostro cuore, nel mendicare la grazia.
Diceva Franco Nembrini una cosa a cui mi sono sempre aggrappata da quando l’ho ascoltato: il problema dell’educazione è non avere il problema dell’educazione. Quindi lavorare su di te, sulla tua conversione, sull’essere una persona “intera” (come dice Piccinini, sto leggendo la sua biografia), cioè con una unità della persona, che è sempre se stessa quando lavora, quando prega, quando sta in famiglia. I figli lo vedono, e gli viene voglia di essere come te, anche se non te lo diranno mai, non adesso almeno.
Lo stesso nella Chiesa. Non dobbiamo porci il problema di come riempire le chiese: dobbiamo solo annunciare – senza chissà quali tecniche comunicative – che la morte è stata sconfitta, e che Dio in persona sta lì, in quel pezzo di pane, E’ quel pezzo di pane. Se noi ci crediamo davvero, ma davvero, e se qualcuno desidera guardare alla sua vita con serietà, seguirà. Sennò va benissimo che stia fuori.
La Chiesa riparte dalle ginocchia.
E io di ginocchia piegate ne vedo. Non tantissime, ma quelle che vedo, mamma mia, sono di santi e sante. Vedo tanta gente – per esempio tanti del nostro monastero wi-fi, che, scaldate i motori, si riunirà di nuovo a Roma il 2 ottobre (nei prossimi giorni riapriamo le iscrizioni) – e poi tanti sacerdoti che danno la vita, che si fanno carico dei fratelli, risolvono i problemi alla gente, gente che si sacrifica, che porta i pesi, perché cerca il Signore, e chi lo ama deve occuparsi dei suoi figli, come lui ha detto a Pietro. Ma tutto parte da lì. Dalla preghiera, dall’eucaristia, dall’adorazione. Se mancano quelle non servono a molto i convegni e i sinodi, se posso permettermi: mettiamoci tutti in ginocchio, seriamente.
Per esempio, ma è mai possibile che in tutta Roma, che io sappia, non ci sia un luogo dove si fa l’adorazione perpetua giorno e notte, e che l’unico che c’era sia stato chiuso? Che su tre milioni di abitanti non si trovino 720 persone disposte a fare un’ora al mese davanti al Santissimo? Ce la facciamo a farla ripartire?
Fonte: CostanzaMirianoBlog