Gli scenari disegnati dagli “esperti” non si sono verificati quasi mai. Sbagliato paralizzarsi davanti all’emergenza aspettando che “tutto torni come prima”. Qualche idea per riprendere a vivere
I dati del Covid-19 sono in netto miglioramento; tutti gli indici in costante calo e le dimissioni dei pazienti dalle rianimazioni nell’ordine di decine e dai reparti ospedalieri nell’ordine delle centinaia, quotidianamente.
Se ci prendiamo la briga di confrontare i titoli che campeggiavano sulle testate giornalistiche nelle giornate di maggio 2020 con quelli delle medesime giornate del 2021 si fatica a distinguerli. Questa osservazione, nel bene e nel male, ci dice che forse il Sars-CoV-2 ha una ciclicità che se ne frega degli studi epidemiologici così come ha dimostrato profondo disinteresse per i vari dispositivi di legge limitanti spostamenti e chiusure.
I cicli del Covid e le previsioni sbagliate
Si guardi la curva epidemiologica e la si metta in confronto con le decisioni politiche e “tecniche” e si vedrà che dopo gli attesi dieci o quattordici giorni non si sono ottenuti gli effetti sperati. Possibile spiegazione? Il Sars-CoV-2 ha una sua “giornata” lunga quattro settimane in cui vive attivamente, poi una sorta di serata di alcune settimane in cui alterna riposo a lavoro seguito da una notte di altre quattro settimane in cui si riposa. Quando si risveglia i casi aumentano inevitabilmente (un virtuoso comportamento individuale in qualche modo mitiga ma non annulla l’incremento) e quando inizia a entrare in fase di quiescenza i casi diminuiscono (con una velocità minore a quella della fase ascendente).
Sembrerà una descrizione infantile ma è un’osservazione che compete in scientificità con quelle dei tanti “esperti” che si sono spinti a disegnare un futuro – in conformità a osservazioni e studi “rigorosi” – che non si è quasi mai verificato; buon ultimo l’esempio dei festeggiamenti per la conquista dello scudetto in piazza Duomo a Milano. Esperti patetici quando preconizzavano l’avvenuto armageddon, medesimi esperti patetici nel trovare le giustificazioni al fatto che non s’è verificato alcun spostamento degno di rilievo. Stiamo parlando di illustri cattedratici che hanno tra le mani, fra l’altro, la formazione della futura classe medica.
Servirebbe approfondire che cosa hanno in mente quando parlano di metodo e come si comunica su basi scientifiche; la scienza non afferma la verità ma cerca di dare una spiegazione “matematica” dei fenomeni fino a quando non venga fornita una spiegazione più rigorosa.
Perché siamo ancora in “emergenza”?
È ancora lecito parlare di “emergenza pandemica”? In questo momento i numeri dicono di no. Tutto a posto? No. Perché un’affermazione così lapidaria? Perché non riesco a scorgere la voglia di gestire e non subire il futuro. In questo momento dovremmo assistere allo smantellamento di tutte le strutture per l’esecuzione dei tamponi a favore di soluzioni durature e inserite in una logica di gestione ordinaria, come per esempio la realizzazione di padiglioni esterni agli ospedali e, soprattutto, come la scrittura di protocolli che identifichino nei medici di assistenza territoriale il vero baricentro e li metta in condizione, con una squadra composta da infermieri e personale sanitario vario, di essere in grado di continuare la rilevazione del virus.
Esemplifico: il caso sospetto rimane a casa ove viene sottoposto a tampone “rapido”. In caso di referto positivo, l’interessato dev’essere sottoposto immediatamente a tampone molecolare e indagine epidemiologica che porti a eseguire tamponi rapidi sulle persone che sono state a contatto nei giorni precedenti lasciando ai giorni successivi (non più di cinque) coloro che hanno avuto un contatto inferiore alle 48 ore. In caso di sintomi, si intraprende immediata terapia domiciliare con osservazione della degenza quotidiana; il trasferimento in ospedale solo in caso di complicazioni o di pluripatologia.
In questo modo la protezione civile, i sanitari militari, gli operatori della Croce rossa tornerebbero alle loro occupazioni istituzionali (pur rimanendo in attento ascolto) e le strutture sanitarie in ogni modo declinate riprenderebbero il loro ruolo a 360 gradi.
Vaccini e edilizia
Anche le strutture vaccinali – una volta superata la soglia prefissata, ossia il 70 per cento di popolazione immunizzata – devono uscire dall’assetto “emergenziale” per vedersi inserite nella dimensione ordinaria. Anche qui i medici di continuità assistenziale sul territorio assieme alle strutture ambulatoriali devono diventare il sicuro riferimento per quanti dovranno ancora essere vaccinati o per eventuali cicli di richiamo.
Vi è poi la necessità di progettare il futuro; progettare nella sua accezione più materiale. Abbiamo capito che l’edilizia scolastica, i teatri, gli ospedali, i cinematografi devono essere costruiti tenendo in considerazione la possibilità che si verifichino eventuali altre emergenze sanitarie contagiose? Stiamo pensando a progetti che prevedano un cubo d’aria maggiore con impianti di aerazione e purificazione dell’aria attivi? Possiamo pensare a sale per spettacoli ove i posti a disposizione del pubblico possono essere distanziati in caso di necessità?
I casi di Lombardia e Campania
Una considerazione eretica: in questi giorni la Regione Lombardia (20 per cento degli abitanti dell’intera nazione) aveva cifre di ricoverati tra i 200 e i 300 in rianimazione, tra 1.200 e 1.400 in reparti ospedalieri dedicati, tra le 30 mila e le 35 mila persone in isolamento domiciliare. La Regione Campania meno di cento pazienti in rianimazione, meno di mille nei reparti ordinari ma quasi 70 mila persone in isolamento domiciliare. Situazione che non ha spiegazione scientifica ma solo politica e che nessuno sembra voler affrontare. Tralasciamo luoghi comuni che non hanno neppure diritto di menzione e forniamo l’analisi più verosimile. Gli abitanti della Campania hanno un accesso ai servizi sanitari più lento di quelli della Lombardia. Nessuno ha responsabilità sul fatto che una miriade di persone ha perso ore di vita, ore di produttività, ore di affettività perché ha dovuto attendere un tampone ben oltre il tempo deciso per legge? Dobbiamo lasciarlo passare come un accidente del destino?
Smart working ma non per tutti
Che cosa dire poi della formula del lavoro agile (traduzione da un inglese – che tale non è – di “smart working”) che ha lasciato a casa milioni di lavoratori e che, anche con i dati di oggi, continua a farlo? Siamo sicuri che questa non sia una forma (al momento, intendo) di furto d’ore e di soldi ai danni di chi ha lavorato o, peggio, di chi non ha lavorato ma ha dovuto pagare le tasse ugualmente? La mia non è una critica alla possibilità di “produrre” anche rimanendo a domicilio o al fatto di poter partecipare a riunioni “a distanza” senza gravare di costi inutili la comunità e di inquinamento l’ambiente. La mia osservazione è che stiamo pensando che il meccanismo possa proseguire allo stesso modo anche per le categorie di persone (penso a uscieri, autisti, tecnici) che possono soltanto svolgere un lavoro in presenza. Tutti i dirigenti e i direttori pagati per lavorare e far lavorare il proprio personale saranno valutati sulla base della capacità di aver diretto il proprio personale a “lavorare da casa”? Assisteremo a un’assoluzione generalizzata per questi peccati sociali?
È necessario pensare e ripensare al nostro futuro e a quello della nostra società. Abbiamo necessità di scrivere nuove pagine di etica (sociale, del lavoro, della responsabilità) che sappiano poi declinarsi in vita vissuta.
Non possiamo credere che la pandemia sarà finita quando “torneremo come prima”. Questo non avverrà mai; la pandemia non sarà più un’emergenza quando smetteremo di subirla e ci predisporremmo ad affrontarla consentendo alle persone di vivere e non sopravvivere.