Il “procrastinatore patologico”, figura universale e molto attuale, è colui che, con l’obiettivo di anteporre il “piacere” al “dovere”, rimanda, volontariamente, un’azione. Il tutto avviene con la consapevolezza delle conseguenze derivabili dal scansare le proprie responsabilità. Affinché si possa parlare di procrastinazione, è necessario che i comportamenti di questo tipo siano ripetuti nel tempo e non circostanze occasionali.
Gli effetti del rimandare
Gli effetti del posticipare si riflettono in tutti gli aspetti della vita, da quelli in famiglia e nelle relazioni sociali (di natura più conflittuale) sino a quelli di rendimento nell’ambito studentesco e lavorativo. È una condizione in cui sussistono diversi aspetti negativi: quali il pessimismo, la paura di fallire, lo stress, la solitudine e, in genere, la presenza di numerosi stimoli e impegni assunti con leggerezza ai quali è arduo dar seguito.
Tale inclinazione è frutto anche di uno stile di vita non corretto in cui l’eventuale riduzione del sonno e l’esposizione, ipnotica, agli schermi del computer, del cellulare e della tv, conducono a una spossatezza che disincentiva all’impegno, favorendo il rinvio. A sua volta, il rimandare, si riferisce anche all’adozione di abitudini sane e spinge a temporeggiare nell’iniziare una dieta, una cura o indugiare nel porre fine al vizio del fumo.
Da cosa dipende?
Il rapporto sociale è fondamentale: se alcuni atteggiamenti di procrastinazione sono dovuti a un sottile egoismo, per eventi e impegni per i quali non si è particolarmente coinvolti, altri dipendono da un eccessivo stadio di ansia pur di realizzare, al limite del perfezionismo, il massimo risultato (per il gruppo o per ottenere riconoscimento personale). La misura e il senso del tempo sono personali e sfuggono, talvolta, alle misurazioni più banali offerte da un orologio o da un calendario. Il valutare la corretta tempistica di un’azione non è un affar semplice e, spesso, non insegna a evitare il ripetersi dell’errore.
Molte persone, prese dagli innumerevoli stimoli e impegni quotidiani, hanno la sensazione di perdersi attraverso queste continue sollecitazioni e di non portare a conclusione alcuna attività. La loro condizione di “cronica inconcludenza” si lega, seppure in una forma passiva, alla situazione del procrastinatore classico.
Una vera patologia
Tale patologia, in alcuni casi cronica e generalizzata, è curata attraverso sedute di psicoterapia (intervenendo sia dal punto di vista cognitivo sia da quello comportamentale) e gruppi specifici di auto mutuo aiuto (gruppi anti procrastinazione) a cui far riferimento, gradualmente, con le augurate riaperture, per una frequentazione in presenza e non solo sul web.
Lo psicologo Wayne Walter Dyer affermava “Procrastinare è l’arte di stare al passo con ciò che è successo ieri, per evitare il domani”. Esistono molti libri sull’argomento, fra questi l’emblematico “Prima o poi lo faccio! Vincere la procrastinazione e smetterla di rimandare sempre”, scritto dalla psicologa clinica Monica Ramirez Basco e pubblicato nel 2018 da Erickson.
Il sito www.stateofmind.it, al link https://www.stateofmind.it/2015/10/procrastinazione-componente-genetica/ ricorda il collegamento genetico alla base della procrastinazione “Un nuovo studio pubblicato su Journal of Experimental Psychology […] ha coinvolto circa 380 coppie di gemelli, metà dei quali erano omozigoti (che hanno esattamente gli stessi geni) e l’altra metà eterozigoti (che in media presentano geni uguali per il 50%). I soggetti hanno compilato alcuni questionari per l’assessment della tendenza a procrastinare. Inoltre hanno completato una serie di misure della funzione esecutiva. I ricercatori dunque avendo a disposizione due subcampioni di gemelli hanno analizzato le correlazioni tra le misure rilevate nei due gruppi: una maggiore correlazione di una misurazione nel subcampione dei gemelli omozigoti rispetto a quello degli eterozigoti indicherebbe un maggior ruolo della componente genetica nella spiegazione della tendenza a procrastinare. I ricercatori sulla base dei dati hanno concluso che la tendenza a procrastinare sarebbe parzialmente ereditaria – il 28% della variabilità in questo tratto sarebbe infatti spiegata dall’influenza genetica”.
Linkedin, il social specializzato nei contatti di tipo professionale, al link https://it.linkedin.com/pulse/procrastinare-online-statistiche-e-costi-ivan-ferrero, pone in guardia in merito ai danni derivati dalle perdite di tempo sul posto di lavoro, con dati e percentuali (a risposta multipla) ben dettagliati “Un lavoratore spende in media 43 minuti al giorno procrastinando, pari a quasi il 10% di una giornata lavorativa media di 7,5 ore, quindi raggiungendo le 3 ore e 35 minuti in una settimana di lavoro. Questa analisi tratta di una procrastinazione che potremmo definire fisiologica nell’essere umano: piccole micro-pause aiutano la nostra mente ad organizzare le informazioni precedentemente ricevute, a rielaborare cognitivamente un lavoro appena svolto, a prepararsi nello switch verso un altro compito. All’interno di una normale giornata lavorativa può tuttavia presentarsi una forma di procrastinazione più sotterranea e che ha i toni di una pratica socialmente accettata, e quindi decisamente più difficile da risolvere: la procrastinazione attraverso l’attività online […] La perdita di produttività dovuta al tempo trascorso online è stata rilevata nelle seguenti percentuali: Telefonare/inviare messaggi: 52% Navigare su Internet: 44% Gossip: 37% Social media: 36% E-mail: 31% […] la perdita di produttività per l’azienda dovuta ad una distorta attività online è stata rilevata nelle seguenti percentuali: Compromissione della qualità del lavoro svolto: 45% Abbassamento del grado di motivazione negli altri collaboratori per via di rallentamenti nell’esecuzione dei Progetti: 30% Impatto negativo nei committenti e nei collaboratori: 25% Ritardi nelle consegne dei lavori assegnati: 24% Perdita diretta di guadagni: 21%”.
La causa
Molte volte la causa non è nel numero delle attività da assolvere ma nelle motivazioni che sottendono alle stesse. La condizione creata dalla pandemia ne è una chiara lettura, in particolare per i giovani. Le chiusure e il molto tempo trascorso in casa, rispetto al solito, infatti, non hanno indotto a risolvere le questioni “in sospeso” bensì hanno favorito un atteggiamento apatico, indolente e rinunciatario. La presenza di maggior tempo a disposizione ha spinto a dilazionare, a ritardare i tempi di esecuzione e a rinunciare. Per questo, molti giovani, nel naufragio della socialità, hanno accusato contraccolpi mentali di grave rilievo.
Nella società moderna, votata all’effimero e al presente, il rimandare è d’obbligo e sarebbe da stolti, secondo l’ideologia materialista, non approfittare del “carpe diem”. La “lungimiranza moderna” è nel chiedersi perché rinunciare al godimento del presente. A estromettere il tempo futuro, tuttavia, sono proprio i giovani, quelli che, invece, ne dovrebbero essere i depositari.
Fonte: Marco MANAGO’ | InTerris.it