Ricavo maggior onore dai morti giovani». Così dice la Morte all’inizio dell’Alcesti di Euripide, un dramma che narra la storia del re di Fere, Admeto, a cui viene risparmiata la morte, per intervento di un dio a lui caro, Apollo, ma solo a patto che qualcuno lo sostituisca. Il re non trova nessuno (neanche i genitori) disposto a morire al posto suo, ma si offre la moglie Alcesti. L’opera si apre proprio con la Morte che viene a riscuotere il suo pegno: quel giorno la donna morirà. Amo l’Alcesti perché narra gli effetti sorprendenti del dare la vita per amore di qualcuno quattro secoli prima della narrazione del Dio-Uomo che dona la sua vita agli uomini. Le parole della Morte mi sono tornare in mente quando, qualche giorno fa, ho assistito, in diretta, alla «resurrezione» di un uomo sul campo di calcio in cui si disputava la partita degli Europei: Danimarca – Finlandia. Eriksen, ventinovenne faro del calcio danese, al 43’ del primo tempo si è spento. Stavo guardando – da fanatico di questo sport meraviglioso – la partita e sono rimasto paralizzato: perché morire così? Potrei essere io. Ho cercato di contrastare lo smarrimento con la risorsa che ho per affrontare il mistero: pregare. Non nel tentativo di cambiare la realtà, ma perché le persone coinvolte avessero la forza di affrontarne le conseguenze. La preghiera non serve a cambiare i fatti (quella si chiama magia), ma i cuori. Nel dramma di Euripide è Apollo stesso a voler (con-)vincere la Morte, cambiando i fatti, ma la Morte ribadisce che non c’è nulla da fare: tutti i «mortali» devono sottomettersi al suo dominio.
Per i Greci infatti la vita è una «quantità» stabilita, come narra il mito delle Moire (Parche) che filano il destino (Moira in greco vuol dire «parte», la quantità di vita che ti è toccata). Così se una vita viene risparmiata qualcun altro deve rimpiazzarne «la quantità»: Alcesti per Admeto. La Morte non fa credito e i conti devono tornare: neanche Apollo, dio della luce e delle arti mediche può far nulla. Eppure Euripide non si rassegna e inventa un «dramma a lieto fine». In casa del re, proprio durante i funerali, arriva Eracle, reduce da una delle sue imprese. Admeto nasconde il suo lutto e gli offre vitto e alloggio, perché l’ospitalità è sacra. Eracle però viene a sapere la verità da un servo e, commosso dal gesto del re, decide di ricambiare inseguendo la Morte: con la forza le strappa Alcesti, che torna in vita. Euripide ci narra in modo commovente che contro la Morte non possiamo nulla se non attraverso «il dono». Alcesti vince la morte del marito dando la sua vita per lui, Admeto vince la morte della moglie dando ospitalità a Eracle, che gliela riporta per ricambiare il dono ricevuto: il dono di sé è il limite imposto alla morte. Euripide cerca di liberarsi delle catene del destino e intuisce che possiamo combattere la morte, affermando il paradosso che, per riuscirci, dobbiamo dare la nostra vita. Quando i giocatori della Danimarca si sono stretti attorno al compagno in arresto cardiaco ormai da vari minuti, proteggendolo dalle occhiute telecamere, hanno messo in scena l’antico cerchio protettivo contro il Nemico, coinvolgendo, in circonferenze sempre più ampie, come un sasso lanciato in un lago, gli spettatori allo stadio e quelli da casa. E così tra lacrime, preghiere e, ovviamente, soccorsi tempestivi e accurati, un uomo è ritornato in vita. Il medico che lo ha assistito ha infatti dichiarato: «Se ne era andato. In pratica è resuscitato. Era in arresto cardiaco. Non so come abbiamo fatto a rimetterlo al mondo, è successo tutto in maniera così veloce. Lo abbiamo riportato indietro dopo un intervento con il defibrillatore».
Tutte le epoche hanno un solo nemico: la morte e i suoi alleati minori (il dolore, la malattia, l’abitudine, la paura, il disincanto, la violenza…) ma, quando gli uomini si uniscono e orientano le loro energie contro questo esercito, creano «la» cultura (gesti, parole, simboli, invenzioni che creano vita senza lederne altra). Le società che evitano la risposta, personale e collettiva, al mistero della morte creano una cultura effimera: le più feconde e durature sono infatti quelle che hanno preso sul serio la morte per sconfiggerla. In quella scena sul campo di calcio c’era tutto il meglio della nostra cultura: il gioco, il pianto rituale, la preghiera, la scienza, la tecnica, l’amicizia, l’amore, la professionalità… che, sommate, hanno creato una forza sovrumana come quella con cui Eracle riporta indietro Alcesti, mandando in crisi il bilancio della Morte. Solo una comunità può vincere la morte e se spesso siamo sperduti di fronte alla Nera Signora è perché fuggiamo, non siamo uniti e abbiamo narrazioni insufficienti ad abitare il mistero. Me lo confermano le parole che il giovane calciatore ha pronunciato quando si è risvegliato: «Sono tornato con voi». Da voi, grazie a voi.
Fonte: Corriere.it