Il Consiglio Europeo denuncia la legge contro la pedofilia di Orban, perché calpesterebbe i diritti Lgbt, lo stesso giorno in cui calpesta il diritto alla vita dei bimbi non nati
Il premier di quel paradiso fiscale che è l’Olanda Mark Rutte, durante il Consiglio Europeo di giovedì, si è spinto fino a chiedere all’Ungheria di uscire dall’Unione Europea. L’oggetto del contendere è sempre la legge, approvata il 15 giugno dal Parlamento di Budapest, per combattere la pedofilia e tutelare i bambini. Diciassette capi di Stato e di governo europei, tra cui anche Mario Draghi, hanno firmato una lettera per denunciare la violazione dei diritti Lgbt da parte dei magiari. La legge è contestata da Bruxelles perché vieta alle scuole di trattare con i ragazzi inferiori ai 18 anni temi come il cambio di genere, l’identità di genere e l’omosessualità.
L’ungheria e l’«ingerenza» dell’Ue
Il premier magiaro Viktor Orban al Consiglio europeo ha ribadito che «non è una legge contro gli omosessuali, ma in difesa di genitori e bambini». E che essendo già stata approvata, non verrà ritirata. Vedremo se la Commissione Europea aprirà una procedura d’infrazione nei confronti dell’Ungheria, di sicuro è quanto meno singolare vedere i leader europei accapigliarsi sul rispetto dei «valori» dell’Unione Europea. Quali sarebbero questi valori?
L’Italia ha appoggiato la durissima presa di posizione di 17 paesi europei contro l’Ungheria, chiedendo di abrogare una legge già approvata da un Parlamento sovrano. Si tratta di un atto di «ingerenza» senza precedenti, reso legittimo secondo i firmatari dalla violazione di alcuni diritti e libertà da parte dei magiari. Proprio l’Italia però si è comportata in modo molto diverso questa settimana, quando il Vaticano ha chiesto al Parlamento di rimodulare il ddl Zan, riscontrando nel testo una violazione del Concordato. I partiti di sinistra e il premier Draghi che difendono la sovranità del Parlamento, quando a denunciare la possibile violazione dei propri diritti e di un trattato internazionale è il Vaticano, sono gli stessi che appoggiano l’ingerenza necessaria nei confronti dell’Ungheria. Due pesi e due misure difficilmente comprensibili.
Per l’Ue l’aborto è un valore comune
Ma al di là delle beghe interne al nostro paese, c’è un altro fattore che rende stonata la protesta europea. Il giorno stesso in cui è andato in scena lo scontro al Consiglio Europeo, l’Europarlamento ha approvato a maggioranza il rapporto Matic. La mozione, non vincolante per gli Stati membri, riconosce l’aborto come «prestazione sanitaria essenziale» e lo definisce un «diritto umano». Di più, descrive l’obiezione di coscienza come «negazione all’assistenza medica», chiedendo agli Stati di abolirla, negando così non solo la libertà religiosa delle istituzioni che vogliono seguire le proprie credenze ma anche il diritto degli individui a seguire la propria coscienza.
Con che coraggio, viene da chiedersi, i Ventisette accusano Orban di mettere a rischio i «valori» europei nello stesso giorno in cui viene definito un «diritto umano» la soppressione di un bambino nella pancia della madre? Con quale faccia tosta si rimprovera all’Ungheria di non rispettare le libertà contenute nei Trattati lo stesso giorno in cui si chiede di abolire la possibilità per i medici di seguire la propria coscienza davanti all’uccisione di un bambino? E ancora, come può il Consiglio Europeo discettare di diritti dopo che il Parlamento ha approvato una risoluzione per negare il diritto alla vita dei bambini non ancora nati? È evidente che non c’è chiarezza su quali siano i valori comuni dell’Europa.
L’Ue fa peggio dell’Ungheria
Orban è da anni nell’occhio del ciclone ed è molto facile, dal punto di vista politico, attaccarlo. Ma i suoi accusatori non sono certo dei santerellini. Solo a titolo d’esempio, e ce ne sarebbero da fare, tra i firmatari della lettera contro l’Ungheria risulta anche Mette Frederiksen, primo ministro della Danimarca. La leader dei socialdemocratici che grida «non si cede sui diritti» non è forse quella che ha avallato la scandalosa decisione di revocare il permesso di asilo ai rifugiati siriani residenti nel suo paese da sei anni, rovinando centinaia di vite? E non è la stessa che ha certificato la legge sull’immigrazione che prevede l’istituzione di campi extra-europei dove segregare i richiedenti asilo? Non è forse la stessa che guida il paese dove, un aborto selettivo dietro l’altro, i bambini con la sindrome di Down sono praticamente scomparsi? E non è, ancora, la medesima che ha rinchiuso gli stranieri in ghetti con regole da apartheid e poi li ha smantellati per discriminarli ancora di più?
Questa Unione Europea non ha le carte in regola per dare lezioni a Budapest.
Fonte: Leone GROTTI | Tempi.it