Caro ministro Speranza, visto che lei ha deciso in modo molto invasivo del tempo degli italiani negli ultimi sedici mesi, cioè centinaia di giorni, cioè migliaia di ore, io e moltissimi miei amici le chiediamo in cambio di concedere due ore, due, del suo tempo non a noi, ma al film che ha sconvolto l’America: Unplanned. Visto che lei ha deciso di dare la possibilità alle ragazzine di prendere la pillola del giorno dopo anche senza il consenso dei genitori e senza neppure la ricetta, cosa che non è consentita neppure per un antinfiammatorio, vorrei che lei capisse qualcosa di più del cuore delle donne, e di cosa sia veramente l’aborto. Non gliene faccio una colpa, è laureato in scienze politiche e non sa di medicina, non sa cosa succede davvero quando un bambino viene risucchiato dall’utero materno e fatto in poltiglia, ma davvero lo dico senza polemica: non lo sa nessuno, perché su questo argomento c’è una cortina di silenzio incredibile.
La prego, ci conceda due ore di tempo e guardi il film. Poi potrà rimanere della sua idea. Se ha paura del virus sono sicura che la produttrice italiana, Federica Picchi, sarà lieta di organizzare una proiezione solo per lei. Magari in un cinema da seicento posti possiamo far sedere anche la Cirinnà, la Boldrini, la Raggi e qualche altra paladina dei diritti delle donne. Sono sicura che converrete tutti sull’essere pro choice, cioè a favore della scelta. Bene, una scelta è libera solo se uno sa cosa sta scegliendo, giusto?
Questa storia mostra che le donne, non so se tutte, di sicuro moltissime, non sanno cosa scelgono quando abortiscono. Infatti nelle cliniche e negli ospedali ci si guarda bene dal far vedere alle mamme il cuore del bambino che batte, o le sue mani o le gambe, o magari il suo corpo che cerca di scappare quando nell’utero viene introdotto l’aspiratore che li ucciderà.
È quello che succede del tutto fortuitamente alla protagonista del film, che però è una storia vera, verissima fino all’ultimo frame. C’è una donna, come può essere una delle sue compagne di cinema, una paladina dei diritti delle donne, divorziata, con due aborti alle spalle, sui quali è perfettamente pacificata e tranquilla: nessun senso di colpa, era la scelta giusta; prende la pillola ma non funziona, e rimane incinta per sbaglio, e, alla fine, il terzo figlio decide di tenerlo, ma con l’idea di fermarsi a uno solo. Insomma non certo il prototipo della bigotta pro life medievale. In più dirige una clinica di Planned Parenthood in Texas, perché è fermamente convinta dell’importanza di lasciare le donne libere di scegliere, e per finire, ciliegina sulla torta, ha vinto il premio di manager dell’anno: la sua clinica sforna più aborti di tutte, è efficientissima e non perde un colpo.
Un giorno mentre è alla scrivania – lei dirige, non fa materialmente gli aborti – le chiedono di andare in sala operatoria. Sono in overbooking e manca una persona, non sanno proprio a chi chiedere, serve solo qualcuno che tenga la sonda dell’ecografia sulla pancia della mamma che sta abortendo, una roba di un minuto. Sono anni che lavora lì, ha fatto eseguire 22mila aborti ma non le è mai capitato che mancasse qualcuno del personale. Mentre tiene la sonda dell’ecografo le cade l’occhio sullo schermo. Vede il bambino. Prima galleggia pacifico nel liquido amniotico. Poi comincia ad agitarsi perché qualcosa è entrato nell’utero, in pochi secondi si vede il bambino che cerca di rifugiarsi da qualche parte, si divincola come può ma viene risucchiato e trasformato in un liquido rosso, e buttato via. Dieci secondi.
Quella donna rimane sconvolta, e la sua vita cambia per sempre. Si dimette il giorno dopo, perché non si era resa conto di ciò a cui stava collaborando. Lei era una onestamente convinta che l’aborto fosse un diritto delle donne, e voleva difenderle. Proprio per questo, per difendere le donne, molla tutto.
Dobbiamo essere onesti, c’è una grande rimozione e una serie di bugie sull’aborto: bisogna cominciare a dire la verità alle donne, ne hanno diritto, il loro vero diritto.
Sennò non usciremo mai dalla contrapposizione prolife e prochoice. Le donne devono sapere cosa succede, che poi è il motivo per cui il 70% dei medici è obiettore (nonostante Zingaretti promuova concorsi dai quali loro siano esclusi, tanto per dirne una). Non sono mica tutti cattoliconi oscurantisti. È che i medici sanno cosa fanno quando “interrompono una gravidanza” come si ama dire per non dire che procurano la fine di una vita.
Anche noi prolife a dire il vero secondo me dovremmo fare uno sforzo di onestà: quando arriva un test di gravidanza positivo può essere davvero un momento molto, molto difficile per una donna. Non dobbiamo dimenticarlo. Non dobbiamo raccontarla sempre come un’avventura tutta rosa piena di farfalle. Può non essere il momento giusto, può non essere la persona giusta, possono non esserci abbastanza soldi o spazio o lavoro. Può esserci la paura di malattie, della fatica, di soffrire. La paura che il bambino non stia bene, che i fratelli soffrano, che non si riesca a star dietro a tutto. Può esserci anche semplicemente il desiderio di non cambiare una vita che ci piace e che abbiamo scelta e costruita con tanta fatica e meritandoci ogni singolo centimetro conquistato. Davvero, nessuno può giudicare una donna che sta davanti a un test positivo e vorrebbe sparire dalla faccia della terra, o far sparire lui, il test e insomma il bambino. Quello che è chiesto a una donna che diventa mamma è tantissimo, anche perché in quel momento non ha niente in cambio, ha solo la promessa di nove mesi di ritenzione idrica e un alla fine, in premio, il dolore del parto. Deve fidarsi di quello che verrà, che – lo posso dire solo perché è alle spalle – è miliardi di miliardi di volte superiore a quello che ci è chiesto, ma quando hai per le mani solo un test di gravidanza positivo non lo puoi sapere, soprattutto se è la prima volta. Quindi il compito di un vero ministro della salute, prima, e di tutti noi, poi, è metterci al fianco di una donna che ha paura, o che non vuole, e dirle che la capiamo, o almeno che non la giudichiamo, che vogliamo esserle vicini, e che siamo pronti ad aiutarla se dice sì. Questo dice anche la legge 194 che lei dovrebbe far rispettare: rimuovere gli ostacoli, le difficoltà delle future mamme.
Ma dobbiamo anche essere onesti: deve sapere anche quello che succede se dice no, perché questa è la vera scelta responsabile. E non è che non vedere cambi la realtà delle cose. La legge prevede che le donne sostengano un colloquio prima dell’aborto, cosa sistematicamente disattesa (mentre vigila su mascherine e distanze vigili anche su questo, mandi le forze dell’ordine anche nei consultori, se le manda nei ristoranti). Si stabilisca che in questo colloquio alle donne venga detto tutto: come avviene un aborto, si faccia vedere il cuore che batte, e si offra sostegno economico e di altro tipo a quelle che decidono di dire sì.
Quanto all’aborto chimico, che lei autorizza alle minorenni, il film ha da dire molto anche su questo, ma ho rubato già troppo del suo tempo. La prego, ci conceda due ore, scriva alla Dominus Production e le organizzeranno una proiezione privata. E poi lo faccia vedere nelle scuole, perché nessuna ragazzina sia ingannata, come quelle del film, nessuna, mai più.
Fonte: CostanzaMiriano.com