Un’insegnante di Lettere legge “Il mestiere di vivere”, il diario di Cesare Pavese
«Da chi non è pronto – non dico a sacrificarti il suo sangue, che è cosa fulminea e facile – ma a legarsi con te per tutta la vita (rinnovare cioè ad ogni giornata la dedizione) – non dovresti accettare neanche una sigaretta». Leggo ad alta voce questa frase di Pavese, tratta da Il mestiere di vivere: la classe sospende il respiro, come paralizzata dal paragone fra i propri rapporti quotidiani e questo livello di totalità. È lo stesso contraccolpo che mi accese, in università, la curiosità di approfondire questo autore.
Pavese deborda, spiazza, ci provoca. Leggendo Il mestiere di vivere, il suo diario dal 1935 – anno del suo confino politico – fino a pochissimi giorni prima del suicidio (agosto 1950), si entra, inciampando continuamente in svolte inaspettate, in dialogo con una persona interamente protesa alla ricerca di sé, nella creazione artistica, nell’amore, insomma, nella vita. Un dialogo infinito, che, aprendo a caso qualsiasi pagina, ti fulmina con un’intelligenza esistenziale straziante. Annotazioni, riflessioni, incontri che ci mettono di fronte al nostro dolore, alla bellezza, al mistero delle cose e del nostro cuore sempre, inesorabilmente, in attesa. «Com’è grande il pensiero che veramente nulla a noi è dovuto. Qualcuno ci ha mai promesso qualcosa? E allora perché attendiamo?». Questo appunto nasce dopo la delusione di un grande amore, come se il dolore fosse una lente di ingrandimento per guardare in profondità la natura del proprio desiderio, in cui il rapporto con “l’altro da sé”, la donna, l’amico, è intuito come la strada obbligata per riscoprire se stessi. «Mistero perché non ci basti scrutare e bere in noi, e ci occorra riavere noi dagli altri».
Mistero. Ecco forse una delle parole chiave più ricorrenti, perché Pavese si accende sempre a partire dall’incontro con il reale, davanti a cui impallidisce ogni immaginazione: «La fantasia umana è sempre immensamente più povera della realtà»; una realtà alla quale lo scrittore cerca disperatamente di ancorarsi per coglierne il segreto, come quando intuisce, attraverso il filtro del processo creativo, che «bisogna cercare una cosa sola per trovarne molte».
Leggendo Il mestiere di vivere si vorrebbe poterlo chiamare per nome, Cesare, quasi per offrirgli la nostra compagnia; e ringraziarlo del grido con cui invoca ogni giorno «un nuovo inizio. L’unica gioia al mondo è cominciare. È bello vivere perché vivere è cominciare sempre ad ogni istante». Si vorrebbe cercare assieme a lui quella «cosa sola» in grado di restituire «carne e sangue» alla vita.
Cesare Pavese
Il mestiere di vivere
Bur
pp. 640 – € 12