Stavolta non ci sono i servizi pakistani dietro l’avanzata dei talebani: la loro vittoria nuoce anche a Islamabad. E gli Usa hanno ottenuto gli obiettivi che volevano
int. Paul Jacob Bhatti – La caduta dell’Afghanistan è davvero questa sconfitta degli Stati Uniti e della coalizione che per vent’anni ha gestito il paese? Se si guarda al vero motivo per cui gli Usa sono intervenuti in Afghanistan, ci ha detto Paul Bhatti, pakistano, chirurgo e presidente della Shahbaz Memorial Trust, fondazione in onore del fratello Shahbaz Bhatti, ministro del Pakistan per le minoranze religiose, il primo cattolico eletto a tale ruolo, ucciso da fondamentalisti islamici, non è esattamente così: “Gli americani sono intervenuti per combattere al Qaeda e uccidere o catturare Osama Bin Laden, il loro leader, responsabile degli attacchi dell’11 settembre. La loro intenzione era distruggere la rete terroristica che in Afghanistan aveva trovato la sede e la possibilità di sferrare attacchi al mondo occidentale, e in questo sono pienamente riusciti, l’Afghanistan non è più sede di gruppi terroristici”. Il Pakistan però da molte fonti autorevoli è accusato di essere dietro alla vittoria dei talebani, avendo infiltrato molti uomini della sua intelligence tra le truppe afgane e i governatorati di provincia per convincerli ad arrendersi senza combattere: “Non credo sia così, la vittoria talebana è un pericolo anche per il Pakistan, che da tempo si sta sforzando di combattere il terrorismo che tanti danni e stragi ha provocato nel nostro paese”.
Il Pakistan secondo alcune fonti sarebbe direttamente coinvolto nella vittoria talebana. È così, e se sì per quale motivo?
Non credo a un coinvolgimento pachistano, anche perché la vittoria talebana va contro il Pakistan. È un regime, quello talebano, che ha una storia di estremismo, fanatismo e terrorismo che è a sfavore del Pakistan.
Eppure si parla di intenzione pachistana di porre sotto la sua diretta influenza politica il nuovo governo afghano dominato dai talebani.
Il Pakistan è contro il regime militare dei talebani, credo che la presenza dei talebani in Pakistan non sia accettabile, come il Pakistan non sia a favore della loro presenza.
I talebani sono profondamente radicati nella cultura tribale dell’etnia pashtun, che coinvolge il 35% della popolazione dell’Afghanistan e il 40% di quella del Pakistan: questa è una realtà.
Sì, questo purtroppo è vero. La storia la sappiamo bene, sin dai tempi degli inglesi i pashtun sono sempre stati un’etnia battagliera che ha sempre combattuto contro qualunque tipo di invasione, sia inglese che sovietica, e da ultimo la coalizione internazionale. Gli americani hanno cercato di controllarli, poi, quando gli Usa si sono ritirati, i talebani hanno cominciato a progredire e sono arrivati a Kabul. È una loro caratteristica: sono una delle popolazioni più irriducibili al mondo, impossibile da controllare e da comandare.
Il ritorno dei talebani che cosa significherà per il futuro dei Pakistan? Ci saranno molti profughi secondo lei?
Sì, abbiamo avuto tantissimi problemi con i profughi anche dall’Iran, il confine con l’Afghanistan è difficile da controllare. Abbiamo subito molte vittime e molti attentati, abbiamo ancora grossi problemi per le infiltrazioni dei talebani. È una grande frontiera da cui entrano tutti. A questo punto credo che non solo il Pakistan debba decidere cosa fare, ma tutta la comunità internazionale.
Una comunità internazionale che però è in fuga: è un insuccesso globale, che ne pensa?
In realtà non dobbiamo fermarci alla cosiddetta fuga americana, dire che in vent’anni le forze internazionali non sono riuscite a cambiare nulla. L’obiettivo era di interrompere quel terrorismo di al Qaeda che stava crescendo e sviluppando la mentalità offensiva che aveva portato all’attacco delle Torri gemelle. Quell’obiettivo è stato raggiunto, hanno interrotto la crescita del terrorismo, è comunque un successo delle forze internazionali, quelle palestre di terrorismo sono state sconfitte. Il cambiamento della popolazione afgana è un problema culturale e lì la gente è difficile da cambiare in pochi anni.
Non si cambia un popolo con le armi, vuol dire questo?
È anche un bene che le forze internazionali si siano ritirate, in questo modo la popolazione afgana deve cominciare a pensare quale sia il suo futuro. Se continua a dipendere da forze straniere, la popolazione afgana non deciderà mai cosa vuole esattamente. Se adesso i talebani sono di nuovo al potere e questo agli afghani non piace, dovranno ribellarsi.
Tra l’altro il fatto che i talebani siano in guerra con i rifugiati dell’Isis potrebbe significare che l’Afghanistan non sarà più un santuario del terrorismo islamista.
Sì, sembrerebbe così, però è difficile capire chi sia dietro a chi. Io spero che la popolazione capisca che il mondo è cambiato e che il loro futuro è diverso da quello che era vent’anni fa.
Fonte: Paolo VITES | IlSussidiario.net