«Calcolare il corso del mondo non significa comprenderlo»: così Edmund Husserl, aderendo al pensiero di Rudolf Lotze, ha ribadito i limiti, razionali e ragionevoli, della scienza.
In questo ambito si inscrive il problema sollevato da Agamben e Cacciari nelle scorse settimane, rivelandosi, quindi, uno scenario ben più profondo e complesso di ciò che i loro detrattori hanno ritenuto in virtù della propria superficiale analisi.
La pandemia del Covid ha rappresentato un banco di prova ideale per comprendere la situazione non soltanto organizzativa, economica, politica, sanitaria, ma anche e soprattutto culturale.
Con l’avvento dell’emergenza pandemica i paradigmi politici classici sembrano essere saltati a gambe all’aria, ai governi politici si sono prima affiancati e poi sostanzialmente sostituiti i comitati di tecnici (virologi, infettivologi, epidemiologi, immunologi e perfino militari) a cui è stato demandato di guidare la comunità e lo Stato attraverso la crisi sanitaria.
Cieca fedeltà
Il ruolo che Platone aveva riservato – nel suo sistema utopistico – ai filosofi, cioè di guida della comunità politica, il mondo contemporaneo sembra averlo riservato agli scienziati.
Questi ultimi, hanno iniziato fin da subito a rispondere ai timori, alle curiosità e alle perplessità dell’opinione pubblica con un sorprendete atteggiamento, cioè non già accogliendo il dubbio – ovvero il respiro dell’intelligenza – con benevolenza e coraggio intellettuale, ma respingendolo con sarcasmo e arroganza.
Da parte della comunità scientifica si è pretesa cieca obbedienza e assoluta fedeltà.
Non a caso fin dall’inizio della crisi pandemica si sono moltiplicate – specialmente sui mezzi di informazione di massa – locuzioni e slogan come “abbiate fede nella scienza”, “occorre fidarsi degli scienziati”, “bisogna credere ai risultati e non discutere”, “la scienza non è democratica” ecc ecc.
Contraddizioni pandemiche
Proprio questo fenomeno, tuttavia, è il problema che si sta evidenziando maggiormente alla luce delle numerose contraddizioni che nel frattempo sono emerse e stanno emergendo intorno alla pandemia: prima il virus avrebbe avuto origine naturale, poi artificiale; prima il vaccino avrebbe garantito l’immunità, poi invece solo evitato le complicazioni; prima non ci sarebbero state reazioni avverse in seguito ai vaccini, poi sono stati modificati i bugiardini più volte proprio per segnalare le eventuali reazioni avverse; prima trombosi e miocarditi erano impossibili da collegare ai vaccini, mentre poi sono state a questi correlate; prima l’insorgere delle varianti non sarebbero state connesse con la vaccinazione di massa, poi invece forse sì; prima il green pass avrebbe garantito dal contagio, poi invece si è trattato di una bufala, ecc. ecc.
Dinnanzi a tutto ciò, oltre tutto ciò, nonostante tutto ciò la comunità scientifica continua a pretendere che l’opinione pubblica la consideri infallibile e presti verso di essa la più incondizionata fiducia.
Un volto ideologico
La suddetta pretesa, al di là delle sterili fazioni provax-novax, è il problema effettivo, poiché la scienza che si presume infallibile non è scienza e gli scienziati che, sebbene preparatissimi nella propria disciplina, ritengono la scienza infallibile non sono scienziati.
La scienza, infatti, vive di dubbi, avanza con le ipotesi e si consacra alla ragione con la falsificazione delle medesime.
Una scienza che intende se stessa infallibile pretendendo la fede pubblica cessa di essere scienza e mostra il suo vero volto ideologico, cioè l’essere in effetti scientismo, ovvero quel fideismo irrazionale e anti-scientifico che prendendo il posto lasciato vuoto della religione – in un mondo come quello occidentale arreso alla secolarizzazione forzata – pretende la stessa devozione, gli stessi sacrifici, l’identica adorazione.
Principio di ragione
Lo scientismo, tuttavia, è la frontale e più radicale negazione della scienza, anche se il più delle volte incarnato da coloro che sono comunemente intesi come “uomini di scienza”.
La scienza, infatti, non ripudia la libertà di pensiero, né le incertezze, né i dubbi, né il confronto, ma anzi se ne sostenta, se ne giova perché nella scienza genuina non dovrebbe vigere il principio d’autorità, ma quello di ragione.
Dimenticare questo – anche e soprattutto durante una pandemia – significa essersi immunizzati contro il pensiero critico e la stessa autentica scienza, cioè non essere più in grado distinguere il vero dal falso, ovvero trovarsi incapaci per comprendere la realtà: la comunità scientifica, che di ciò non si rende conto, è davvero disposta a correre questo rischio proprio quando avremmo maggior bisogno della ragione e delle sue risorse per sconfiggere un virus mortale?
In questo senso e, in conclusione, non possono che ricordarsi – tra i tantissimi esempi possibili – le riflessioni di un premio Nobel per la fisica come Richard Feynman per il quale – diversamente da quanto reputano molti scienziati odierni – «un’altra caratteristica della scienza è che insegna il valore del pensiero razionale e l’importanza della libertà di pensiero, come pure la necessità di dubitare, di non dare per scontata alcuna verità […]. Gli esperti che vi guidano possono sbagliare».
Fonte: Aldo Vitale | Tempi.it