Intervista a padre Orobator, presidente della Conferenza dei gesuiti dell’Africa e del Madagascar: «La fede è ciò che ci rende umani. Siamo colpiti dal terrorismo, ma non siamo vittime»
«Non avevo certo pianificato di convertirmi: è stato un caso, anche se adesso ho capito che era il piano di Dio». Agbonkhianmeghe Orobator, nigeriano nato e cresciuto a Benin City, è il presidente della Conferenza dei gesuiti dell’Africa e del Madagascar, ma è nato immerso nel culto della religione tradizionale africana. Figlio di una madre devota della dea del mare, Olokun, e di un padre fedele di Osanobua, la fede cristiana l’ha scoperta per caso: «Davanti a casa dei miei genitori c’era una chiesa ma fino a 16 anni non ci sono mai entrato», racconta a tempi.it il gesuita, intervenuto ieri al Meeting di Rimini. «Una notte, tornato a casa con i miei amici, ho visto le luci della chiesa accese e incuriosito sono entrato. Era la vigilia di Pasqua, allora non avevo idea di che cosa fosse, e la chiesa era strapiena, tutti ballavano e cantavano. Davanti all’altare c’erano tante persone vestite di un bianco magnifico, pronte a essere battezzate. Non avevo mai visto niente del genere e desiderai essere come loro. Così i giorni successivi tornai alla chiesa e dopo due anni di catechismo diventai cattolico».
Padre Orobator, il suo paese d’origine, la Nigeria, è quello dove ogni anno muoiono più cristiani. Quali sono le cause della persecuzione?
Questo è forse il momento più difficile e sfidante per essere un cristiano in Nigeria. Alla base della violenza ci sono diverse ragioni: la prima è la divisione politica tra nord e sud, che esisteva già prima dell’indipendenza. La seconda è economica: la Nigeria è ricca di risorse, soprattutto petrolio, che però si trova al sud. Questo crea tensione, dal momento che spesso i cittadini delle altre aree del paese si sentono esclusi e sentono di non avere lo stesso accesso alle risorse.
E la terza ragione?
È la differenza religiosa tra cristiani e musulmani. Hanno coabitato in armonia per secoli ma ora il terrorismo, fomentato dall’estero, ha esacerbato le differenze e fatto aumentare la tensione. Oltre al terrorismo, c’è un nuovo fenomeno molto pericoloso che si avvantaggia del caos generato dal terrorismo: è il banditismo. Ormai i rapimenti sono all’ordine del giorno e le bande agiscono nella totale impunità.
Le cause del fenomeno quindi non sono religiose?
La persecuzione religiosa dei cristiani in Nigeria esiste ed è innegabile. Dico soltanto che il terrorismo colpisce anche i musulmani e che le cause alla base di esso sono più politiche ed economiche, che puramente religiose.
Il terrorismo è solo l’ultima delle sfide che l’Africa deve affrontare. Quali sono le più importanti?
Il problema principale dei paesi africani a livello politico è la leadership: i nostri leader non sono competenti e non sono interessati a fare il bene comune della popolazione. La Nigeria è ricca di risorse, il Congo è addirittura uno dei paesi più ricchi al mondo da questo punto di vista. Eppure la gente è povera e c’è disoccupazione.
C’è un deficit di educazione?
In parte sì, ma la verità è che i nostri leader sono tutti educati e istruiti, spesso dalla Chiesa cattolica. Nonostante questo, quando arrivano al potere fanno solo gli interessi propri e del proprio gruppo. Servirebbe innanzitutto un vero Stato di diritto. Anche in Occidente, come in Africa, c’è la corruzione ma da voi i politici vengono perseguiti e se sono colpevoli, condannati. Abbiamo bisogno di far comprendere anche da noi che nessuno può essere al di sopra della legge. C’è poi un’altra necessità.
Quale?
In Africa abbiamo bisogno di più corpi intermedi. Mi lasci dire che sono rimasto impressionato dal Meeting di Rimini, dal lavoro gratuito dei volontari. È questa la mentalità di cui abbiamo bisogno in Africa: dovremmo portare il Meeting, insieme a Comunione e liberazione, anche da noi.
Nonostante gli enormi problemi del continente, la fede in Africa resta forte al contrario di quanto si vede in Occidente. Che cosa può insegnare la Chiesa africana a quella universale?
È un paradosso che in Africa, con tutti i problemi che abbiamo, i cristiani siano pieni di gioia. La ragione è che in Africa la fede non è concepita solo come un credenza in certi dogmi, ma è un modo di vivere. È ciò che ti rende umano e che ti fa rimanere a galla nei momenti di difficoltà. È come una seconda natura generata da un’esperienza di Dio che si può fare e incontrare ogni giorno.
Papa Francesco parla spesso di colonizzazione ideologica. Come influenza l’Africa?
L’Africa è spesso terra di esperimenti da parte di altre potenze. La nuova colonizzazione si vede nello scontro per le risorse tra Cina e Occidente. In Tanzania i paesi del Golfo costruiscono una moschea dietro l’altra, anche se non ci sono fedeli, solo per estendere la propria egemonia. Non voglio però lamentarmi, perché sarebbe fuorviante.
Che cosa intende?
Gli africani non sono vittime, sono responsabili di quanto accade nei loro paesi. Dobbiamo prenderci le nostre responsabilità e costruire il futuro.
Fonte: Leone GROTTI | Tempi.it