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Nascere. L’utero in affitto in Italia è vietato e tale deve restare

Caro direttore,
«Bambini à la carte», scritto a caratteri cubitali, era il titolo che campeggiava sulla prima pagina di ‘Avvenire’, mercoledì scorso 8 settembre. Ancora più inquietante il sommario: «A Parigi la Fiera ‘Desir d’enfant’ che pubblicizza i servizi di utero in affitto e la compravendita di embrioni e gameti ». E per chi pensasse che tutto ciò non riguarda anche noi italiani, ecco la doccia fredda: «A maggio la Fiera arriverà a Milano».

Poco importa, evidentemente, agli organizzatori che in Italia la legge 40, all’articolo 12, comma 6, vieti la pratica dell’utero in affitto e proibisca la compra- vendita di gameti umani. La norma è ancora pienamente in vigore, nonostante i continui tentativi di forzarla che i radicali, per modificarla, abbiano presentato un ddl che chiama l’utero in affitto «donazione solidale» o «gestazione altruistica ». I gameti sarebbero un dono, salvo rimborso spese, e la gestazione sarebbe altruistica, per venire incontro al desiderio di genitorialità di coppie eterosessuali o anche di soli uomini (che ovviamente non possono avere bambini).

Il fatto però è che gli stessi sostenitori della gravidanza per altri e del diritto di una coppia, ma anche di un single, ad avere un figlio, è stato preceduto per anni da un battage pubblicitario che sollecitava a rendersi conto che sulla Terra siamo tanti e saremmo diventati troppi. Mentre, su un altro e complementare fronte, si cercava di convincere le donne che la partita della parità con gli uomini e del successo professionale, esigeva prima la riduzione del numero dei figli e poi addirittura la rinuncia ad averne. È stato così prosciugato il desiderio di maternità, per cui oggi in molti casi dobbiamo ricominciare proprio dalla ‘riscoperta del desiderio’ di avere uno, due, tre figli…

Quanti se ne vogliono, ma riposizionando questo desiderio in una nuova ecologia della nascita. Il mistero della nascita che ci accompagna da migliaia di anni non ha bisogno di tecnologie sofisticate, anche se, a volte, queste possono essere necessarie. È necessario, invece, che venga garantita quella bio-diversità, che non teme di affermare che un bambino ha bisogno di una madre e di un padre per essere concepito, allattato, educato e consegnato alla prospettiva di una autonomia personale di uomo o di donna. Nei prossimi decenni la contrazione demografica condizionerà tutta la politica economica anche in fatto di migrazioni. Siamo caduti in quella che si chiama la trappola della bassa fecondità, per cui quando avere non più di uno o, al massimo, due figli diventa la norma, è difficile cambiarla. Abbiamo disincentivato nelle coppie giovani il desiderio di genitorialità, abbiamo moltiplicato le loro difficoltà, rendendo difficile l’accesso al lavoro, al credito, ad una rete di servizi. Per le donne abbiamo trasformato la ricerca di un punto di equilibrio tra famiglia e lavoro in una sfida usurante.

E oggi ci ritroviamo con il desiderio riscoperto e invocato (quasi sempre tardivamente) come diritto. Un diritto che il Servizio sanitario nazionale avrebbe il dovere di assicurare anche attraverso la pratica dell’utero in affitto, realizzata con il ricorso alle più avanzate tecnologie della riproduzione. Chi ha i mezzi economici, si permette già di scegliere ‘à la carte’, in molti casi purtroppo amando narcisisticamente se stesso nel figlio. Ma dovremmo ricordare sempre che un figlio, ogni figlio, va amato e accettato così com’è, senza aspettative eccessive, senza illuderlo e senza sentirsene delusi.

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Fonte: Paola Binetti | Avvenire.it

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