2 Non avere paura dell’interiorità
Come i farisei e gli scribi, preferiamo mettere al centro l’esteriorità semplicemente perché è più gacile da controllare, giudicare e condannare.
Al contrario, l’interiorità è fuori dal nostro controllo. Non sapremo mai cosa c’è davvero nel cuore dell’altro, e allora come possiamo giudicarlo?
Nessuno può mettere le mani nell’interiorità dell’altro. Nella migliore delle ipotesi, possiamo giudicare le sue azioni, ma non possiamo mai porre un’etichetta all’anima del fratello. Quell’interiorità è sacra, e solo Dio la conosce pienamente.
Se, a differenza dei farisei, cerchiamo di evitare facili conclusioni su quello che crediamo di vedere dell’altro, cominceremo a entrare nella logica del Vangelo.
Passeremo così dall’ipocrisia alla prudenza: se vogliamo il bene dell’altro, non abbiamo bisogno di nominarci giudici, dobbiamo solo iniziare a guardare prima dentro di noi. Solo così ci accosteremo umilmente all’interiorità altrui.
3 Guardare noi stessi
“Con quanta strana durezza parliamo gli uni degli altri! E ciò che colpisce è che nessuno ci ha nominati giudici di nessuno, ma ci siamo autoattribuiti questa funzione e spesso abbiamo già dettato la nostra sentenza (di condanna) ancor prima di ascoltare.
Visto che lassù ci giudicheranno con la misura con cui abbiamo misurato… attenzione!
Quanto siamo magnanimi, invece, al momento di scusare le nostre mancanze! Quanto è rara l’ipotesi in cui non ci assolviamo nel tribunale del nostro cuore, lasciando l’esigenza agli altri.
Anche nei nostri errori più evidenti troviamo sempre montagne di attenuanti, di esenzioni, di scuse giustificatorie. Che bravi ragazzi sembriamo allo specchio delle nostre coscienze dovutamente truccate! Che capacità di autoinganno abbiamo!”.
Martín Descalzo
Se fossimo nei confronti di noi stessi non giudici esigenti (senza bisogno di essere negativi), ma persone che indicano senza paura ciò che va male dentro di noi, ci renderemmo conto che guardare con occhi d’amore gli altri è più facile di quanto crediamo.
Fonte: Luisa Restrepo | Aleteia.org