ULTIMO BANCO – 89. Indipendere
— 27 Settembre 2021
— pubblicato da Redazione. —
«Non scandalizzate questi piccoli». All’inizio dell’anno scolastico risuonavano in me queste parole del vangelo di Luca. «Scandalizzare» in greco significava «mettere una trappola». Il compito che ho con i ragazzi è quindi per me eliminare (o non mettere) trappole sul loro cammino: educare è aprire a un altro la «sua» strada. Insegnando lettere mi sono chiesto allora che trappole avrei dovuto eliminare e mi sono venute in soccorso le parole del filosofo Wittgenstein: «I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo», cioè viviamo la realtà in base alle praole che abbiamo. Per esempio: la parola inglese per «azzurro» è «light blue» (blu leggero), che rende meno sensibili nel percepire il colore rispetto a chi lo indica con un nome preciso (esperimenti scientifici dimostrano che distinguiamo solo i colori che sappiamo nominare). La parola de-finisce, è il con-fine mentale e sentimentale dell’esperienza che facciamo del mondo. Quindi devo aiutare gli studenti a eliminare parole-trappola e a usare invece quelle che ampliano percezione e pensiero: Omero le chiama parole-alate per dire che sono veloci e vanno a segno. Avendo fatto leggere loro 1984, romanzo in cui George Orwell nel 1948 immaginava il cupo futuro dell’umanità, ho dedicato le prime ore di lezione a una parte del testo trascurata: l’Appendice sui principi della Neolingua. Orwell la aggiunge alla fine del libro per spiegare come il potere politico impedisce ogni opposizione: «fine della neolingua non è solo fornire un mezzo espressivo che sostituisce la vecchia visione del mondo e le vecchie abitudini mentali, ma rendere impossibile ogni altra forma di pensiero». E come ci riuscirà?
La Neolingua ha tre lessici tutti caratterizzati dal fatto che le parole hanno un significato univoco. Il lessico A contiene le parole necessarie alle azioni quotidiane. Il lessico B quelle per la politica che impediscono di formulare idee diverse da quelle del potere. Il lessico C è quello tecnico e serve a indicare come funziona qualcosa. La sostituzione completa dell’antica lingua è prevista nel 2050, tempo necessario alla «traduzione» delle opere letterarie: «Motivazioni di mero prestigio consigliavano di conservare la memoria di certe figure storiche. Si stavano quindi traducendo diversi scrittori, come Shakespeare, Milton, Swift, Byron, Dickens e altri. Una volta che un simile processo si fosse concluso, i loro scritti originari – e con essi tutto quanto ancora sopravviveva della letteratura del passato – sarebbero stati distrutti». Orwell profetizza che costruiremo un mondo a misura della neolingua: «azioni univoche», «processi tecnici» e «pensieri ortodossi». In Neolingua non c’è più apertura simbolica, non si può quindi più scrivere letteratura, fatta di invenzioni linguistiche che poi sono «invenzioni di mondo» al pari delle scoperte scientifiche.
Dopo aver riletto con i ragazzi l’Appendice ho detto che il lavoro del triennio sarebbe stato mettere in discussione parole che intrappolano o fanno inciampare il sentire e il pensare, e che quindi ci impediscono di percepire noi stessi e il mondo. Ho indicato alcune parole di cui mi sono sbarazzato in questi anni per poter vedere meglio le cose: obbligo come specificazione della scuola (uso scholè: tempo libero in greco); competenza come fine dell’istruzione (uso cura: cultura vuol dire prendersi cura di sé e del mondo); errore come colpa o patologia (uso erranza, che indica esplorazione); uso ribellezza per ribellione, cioè opporsi a ingiustizie e menzogne a colpi di bellezza; uso fuoco per vocazione, desiderio per talento…
Poi ho fatto gustare loro alcune parole-alate perdute che Dante, creando una lingua nuova e quindi un mondo nuovo, aveva inventato: intuarsi e inmiarsi per indicare ciò che accade agli amanti che si conoscono sempre meglio; infuturarsi o insemprarsi per indicare quando il tempo si dilata grazie all’amore… Ho aggiunto anche l’aggettivo affrontativo inventato da mia nipote di tre anni per indicare l’atteggiamento di coraggio e gioia di fronte alla vita. Infine ho chiesto loro una parola per riassumere ciò che avevamo fatto e un ragazzo ha creato il verbo «indipendere»: liberarsi dai fili che danno al burattino l’illusione di essere vivo sul palco del Potere e dello Spettacolo, e mettersi invece in cammino per aprire una via non battuta, la propria.
Ne abbiamo fatto il motto dell’anno: Indipendere! E abbiamo cominciato a chiederci quali fili ci costringono a dimenarci senza gioia sullo scintillante sfondo di cartone di una scena dove altri guadagnano a scapito nostro e non possiamo ballare liberi. Il lavoro è lungo ma vogliamo arrivare al 2050 leggendo ancora quelle opere letterarie che liberano il sentire e il pensare dalle paralisi alle quali la lingua «dominante» spesso ci abitua. Noi vogliamo un’altra lingua, cioè un altro mondo!
Fonte: Corriere.it
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