Partenza tutta hollywoodiana per la 16a Festa del Cinema di Roma (14-24 ottobre, Auditorium Parco della Musica): film d’apertura è “The Eyes of Tammy Faye” di Michael Showalter, biopic scintillante dai riflessi tragico-grotteschi sull’ascesa e caduta di una coppia di telepredicatori evangelici nell’America anni ’70-’80. Jessica Chastain nel ruolo di Tammy Faye offre una performance di vivo talento, lanciandosi con decisione nella corsa ai premi della stagione, Oscar in testa. E ancora, al cinema dal 14 ottobre c’è “The Last Duel” firmato Ridley Scott con Matt Damon, Jodie Comer, Adam Driver e Ben Affleck: ispirato a una storia vera, il film getta uno sguardo psicologico sul mondo medievale a trazione maschile dove una donna rischia tutto pur di difendere il suo onore e la verità. Il punto Cnvf-Sir.
“The Eyes of Tammy Faye” (Festa del Cinema)
Una storia americana. È questo “The Eyes of Tammy Faye” diretto da Michael Showalter con Jessica Chastain e Andrew Garfield, un racconto ravvicinato della terra a stelle e strisce negli anni ’70 e ’80, dove trovarono la gloria due giovani predicatori della Chiesa evangelica, Tammy Faye e suo marito Jim Bakker, passati dall’evangelizzazione porta a porta agli studi televisivi, costruendo nel periodo della presidenza Reagan un vero e proprio impero, il network satellitare Ptl (Praise the Lord). I Bakker incarnavano il sogno americano, il passaggio dalle umili origini al boom economico-sociale, arrivando a costruire in poco tempo uno dei più potenti network e anche un parco a tema dei divertimenti, l’Heritage Usa. Inoltre, Tammy era riuscita a diventare anche un’affermata conduttrice, scrittrice e cantante con oltre 24 album musicali all’attivo. Insomma, una coppia d’oro o quasi… Il regista Showalter mostra infatti anche il rovescio della medaglia, i chiaroscuri della vicenda, il doppio volto soprattutto di Jim Bakker, coinvolto nella distorsione di fondi, evasione delle tasse e in una discutibile condotta dalle ricadute penali.
In particolare, il film sposa lo sguardo di Tammy, tratteggiando quella sua innocenza che sconfina in un’ingenuità purtroppo tragica, non priva di colpe. Tammy credeva in quello che faceva, nel suo lavoro come predicatrice, cantante e conduttrice; era arrivata a un’incredibile empatia con il pubblico sui temi più accesi nella società – tra questi la condizione della donna o il deflagrare dell’Hiv –, quasi paragonabile alla parabola di Oprah Winfrey. Una donna per certi versi pioniera, in un contesto religioso e televisivo a forte predominanza maschile, che riuscì a brillare per la sua fede e la sua voce.
Alla base del film di Showalter c’è un documentario di inizio anni Duemila (di Fenton Bailey e Randy Barbato) ma soprattutto c’è la scommessa su un’interprete, qui anche in vesti di produttrice, come Jessica Chastain che ha lavorato sulla figura della Faye per oltre sette anni, in uno sforzo mimetico di rara bravura. La Chastain è Tammy Faye in tutto, dalla voce caricaturale alle movenze in stile Betty Boop, dalle sorprendenti doti canore sino al truccatissimo volto secondo gli standard più esagerati degli anni ’80. E punto nodale del film è e resta proprio lei, la Chastain, che con questa prova maiuscola riesce a rendere il profilo della Faye adeguatamente sfaccettato, complesso e comunque luminoso, nonostante gli irrisolti.
In generale, “The Eyes of Tammy Faye” è un film che indaga le contraddizioni dell’America reaganiana, contraddizioni sociali ma anche familiari; e ancora viene fatto il ritratto impietoso di una comunità religiosa, quella evangelica americana, i cui vertici vengono ritratti come duri repressori oppure devoti unicamente al “dio denaro”.
A ben vedere, non tutto torna perfettamente nell’impianto narrativo di “The Eyes of Tammy Faye”, che pare in alcuni passaggi poco incisivo o incline a soluzioni segnate da furbizia. Il ritratto dolente e grottesco di Tammy Faye composto dalla Chastain riesce però a compensare ogni imperfezione, dando slancio, vigore e intensità alla storia. Dal punto di vista pastorale il film è complesso, problematico e adatto per dibattiti.
“The Last Duel” (al cinema)
Un’altra istantanea di donna pioniera, questa volta nella Francia del XIV secolo. Di questo tratta “The Last Duel” l’ultimo film di Ridley Scott – tra i suoi successi “Alien” (1979), “Blade Runner” (1982), “Thelma & Louise” (1991), “Il Gladiatore” (2000) e a breve “House of Gucci” – , che coinvolge nel cast come attori nonché sceneggiatori la coppia di amici da Oscar Matt Damon e Ben Affleck. Prendendo le mosse da fatti realmente accaduti, raccontati nel libro di Eric Jager, il film di Scott mostra un avvenimento circoscritto, tragico, attraverso tre differenti punti vista, dove quello femminile risulta il più incisivo, di senso.
La storia: nella Francia del XIV secolo Jean de Carrouges (M. Damon) è un cavaliere proveniente da una famiglia titolata, che dopo una campagna di guerra di successo decide di prendere in moglie Marguerite (Jodie Comer), erede di un casato in decadenza. Non senza qualche difficoltà, soprattutto per la donna, la coppia trova comunque una stabile intesa. Quando Jean parte per una nuova missione, l’amico di battaglie Jacques Le Gris (Adam Driver) fa visita al suo castello e aggredisce inaspettatamente Marguerite. Non volendo tacere sull’accaduto, come le regole del tempo imponevano, Marguerite denuncia pubblicamente il suo aggressore, chiamato così a duellare con il marito Jean.
Anzitutto, bisogna riconoscere a Ridley Scott sempre un grande talento nel gestire produzioni cinematografiche di notevole respiro, capaci di fondere azione con spessore narrativo. Qui c’è tutto il suo mestiere che emerge, soprattutto per come governa in maniera credibile e avvincente il lungo duello finale tra Carrouges/Damon e Le Gris/Driver: c’è brutalità, ma non gratuità; c’è vigore, ma non la volgarità della violenza.
Nelle logiche del racconto, però, elemento chiave rimane la condizione della donna, mostrando il coraggio di Marguerite nel saper sfidare il rigido confinamento imposto dalle regole sociali del tempo, alzando la voce e chiedendo verità, giustizia. Nel fare ciò, il regista Scott allarga il campo della riflessione affidando il racconto degli avvenimento tanto alla prospettiva maschile quanto femminile. Attraverso questo escamotage, riusciamo a cogliere tutte iniquità del mondo medievale, dove le donne, anche di rango elevato, erano costrette a una condizione subalterna, di mera sottomissione.
Forte probabilmente dell’istanza dei movimenti MeToo, soprattutto a Hollywood, il film “The Last Duel” potrebbe apparire sulle prime un’operazione in chiave femminista. Volendo uscire dal facile recinto interpretativo, possiamo affermare che l’opera trova il modo di coniugare la Storia con il presente, componendo il ritratto di una donna controcorrente che sovverte le regole ancorate nel maschilismo per dare voce alla dignità e parità della propria condizione. Un racconto robusto, ruvido, che trova grande fascino per la gestione della tensione narrativa, come pure per le interpretazioni vigorose di Damon e Driver oppure nello sguardo dolente e fiero della vera protagonista Jodie Comer. Dal punto di vista pastorale “The Last Duel” è complesso, problematico e per dibattiti.
Fonte: Sergio Perugini | AgenSir.it