Le vicende politiche, anche quella del ddl Zan, hanno molti strati: se si scava un po’, si trova quello ideologico – ideale e politico al tempo stesso – . Che non cancella la dimensione tattica e anche opportunistica del passaggio di mercoledì in Senato, ma che vi si aggiunge, e per certi versi gli conferisce una qualità ulteriore.
Certo, con il brusco allontanamento del ddl Zan dal novero dei problemi urgenti, si sono viste le prove di ridefinizione del quadro politico in vista delle elezioni del Presidente della Repubblica, e anche delle politiche che prima o poi seguiranno; si è constatato il progressivo allontanamento di Renzi dal Pd e dal centrosinistra, oltre che la mancanza di compattezza del M5S; si è capito che la strada per arrivare al nuovo Capo dello Stato potrebbe essere tanto più lunga e tortuosa quanto più i partiti sono deboli e incerti, e le strategie dei loro leader contestabili. Ma si è anche assistito a un confronto fra ideologie: che a dispetto di quanto corrivamente si crede, non sono morte; semmai, si sono spostate dal terreno socio-economico a quello bio-politico.
L’intento di colpire specificamente l’omo-transfobia è declinato, nel ddl, in una chiave politica: ovvero vi si sottolinea che la vita, la dignità e i diritti delle persone tutelate sono di pubblico interesse, tanto che la loro lesione è un “crimine d’odio”. Il ddl apre anche la porta, sia pure in via indiretta, all’ideologia gender, la cui essenza è politica. Infatti, il nucleo più radicale delle sue formulazioni è che la civiltà occidentale è socialmente e culturalmente strutturata e istituzionalizzata in senso duale, binario, cioè intorno a due soli generi (maschile e femminile), che sono anche identità esistenziali e comportamentali. A tale struttura binaria si oppone il diritto di libera scelta individuale del genere (e in alcuni casi anche del sesso, e sempre della sessualità e dell’affettività): si afferma così una fluidità indefinita delle identità, che dovrebbe frammentare la struttura binaria vigente.
Al di là del fatto che una parte del femminismo è ostile alle teorie gender perché, proiettate verso il superamento della logica binaria, rischiano di trascurare la presente disuguaglianza economica e sociale fra uomini e donne, alla (legittima) ideologia del ddl se ne è opposta un’altra – del centro-destra nella sua versione laica e moderata (distinta quindi dalle posizioni reazionarie e intolleranti, che sottotraccia sono pure rilevabili) – . Qui si considerano i problemi di genere come questioni individuali, come casi eccezionali rispetto alla normalità, e le persone coinvolte come soggetti da tutelare nei loro diritti, ma da non considerare come leva per mettere in discussione l’assetto della società. Sullo sfondo – discreta ma ferma, affidata alla Congregazione per la dottrina della fede – , c’è poi la posizione ufficiale della Chiesa fondata sulla Bibbia (“maschio e femmina li creò”, dice la Genesi): l’essere umano naturale, nei due sessi e nei due generi, è immagine di Dio, e quindi portatore di una essenza e di una dignità immodificabili. A questa posizione la Chiesa ha richiamato i politici cattolici.
Insomma, uno scontro ideologico, e non da poco. Ma a questo lato si è dato poco peso, in aula e nei media, come se la tattica politica fosse più importante, e il conflitto delle idee fosse in sé temibile o disdicevole. Mentre è ovvio che tutto sta nella qualità delle idee, e nei modi del confronto: lo dimostra il livello, quasi sempre desolante, di un altro scontro ideologico bio-politico in atto, quello tra No Vax e No Pass, da una parte, ed establishment politico-scientifico, dall’altra. Semmai, ci sarebbe da chiedersi come mai sul lavoro – il fondamento costituzionale della Repubblica – e sul suo ruolo attuale (le pensioni, sulle quali il conflitto c’è già, sono altra cosa) tarda invece ad aprirsi un confronto politico e ideale: un confronto, s’intende, che sia nuovo, all’altezza dei tempi, ma che renda alla politica il suo antico spessore, la qualità di cui ha bisogno.
Fonte: Carlo GALLI | Repubblica.it