“È qualcosa che non è mai stato fatto prima con un tale ritmo di crescita per un prodotto completamente nuovo”, affermava ancora il dottor Anderson, che peraltro, ribadiamo, sembrava avere una stima al ribasso del processo in corso. E aggiungeva: “Tra 10 o 15 anni, quando ci saranno grandi numeri che giungono alla fine della loro vita, sarà molto importante avere un’industria del riciclaggio”.
“Attualmente – affermava – a livello globale, è molto difficile ottenere dati dettagliati sulla percentuale di batterie agli ioni di litio riciclate, ma il valore che tutti citano è circa il 5%. E in alcune parti del mondo esso è notevolmente inferiore”.
Inutile aggiungere ulteriori dettagli di una nota che vuole solo accennare a uno dei tanti problemi posti dalla svolta green. Non si tratta di allarmare o frenare alcunché di un processo che comunque va portato avanti, solo evidenziare che certo utopismo rischia di provocare disastri.
Il punto è che mentre si sta spingendo per passare ai veicoli a energia elettrica, la tematica dello smaltimento delle batterie, enorme per le implicazioni ecologiche che pone, non sembra sia stata affrontata in maniera adeguata, come denota il fatto che la Wolkswagen ha aperto il primo stabilimento pilota per riciclare le batterie solo alcuni mesi fa.
Le case produttrici di veicoli elettrici, ad oggi, garantiscono la gestione corretta delle (relativamente) poche batterie esauste che hanno messo in circolazione finora. Si va a fiducia, ovviamente, e non abbiamo elementi che indicano il contrario.
La discarica chiamata Africa
E però val la pena leggere un estratto di una nota del gennaio scorso pubblicata dal sito Quaderni del Corallo: “Lo studio Soil Contamination from Lead Battery Manufacturing and Recycling in Seven African Countries (Contaminazione del suolo da produzione e riciclaggio di batterie al piombo in sette paesi africani), pubblicato nel 2018 sul Journal Environmental Research, ha testato le aree che circondano sedici impianti industriali autorizzati in Camerun, Ghana, Kenya, Mozambico, Nigeria, Tanzania e Tunisia. I livelli di piombo intorno agli impianti di riciclaggio delle batterie al piombo hanno raggiunto le 48.000 parti per milione (ppm) con una media di 2.600 ppm. I livelli inferiori a 80 ppm sono considerati sicuri per i bambini. (fonte: AZoCleantech.co)”.
Si tratta, nello specifico, di impianti “autorizzati”: tremiamo all’idea di cosa accade in altri siti non autorizzati, che di certo fioriscono tra le pieghe della povertà e della destabilizzazione africana (vedi ad esempio alla voce Somalia, Paese ormai diventato un sorta di discarica globale).
Insomma, la transizione da combustibili fossili al green va bene, ma pone criticità che vanno affrontate con realismo, evitando cioè quel fondamentalismo che troppo spesso si riscontra quando si affrontano tali tematiche.
Altrimenti il problema delle automobili green sarà risolto sommergendo ulteriormente l’Africa di rifiuti tossici (peraltro, essendo lo smaltimento dei rifiuti un business notevole, si è registrato troppo spesso un interessamento della criminalità organizzata nel settore: si dovrebbe tentare di evitare di procacciar loro ulteriori profitti…).
Infine, una nota a margine: per produrre automobili green, dalla carrozzeria al motore alle stesse batterie, serve energia, che ad oggi, e per diversi anni a venire, sarà prodotta dai combustibili fossili, dato che non esistono alternative immediate. La transizione necessaria abbisogna dell’altrettanto necessario realismo.
Fonte: PiccoleNote.it