Durante la pandemia le prove di maturità, a conclusione della scuola media superiore, prevedevano la composizione di un elaborato da fare a casa sulla cui base si avviava poi il colloquio interdisciplinare. Si è trattato di una soluzione d’emergenza per snellire le formalità burocratiche dopo i lunghi drammatici mesi di isolamento domestico quando la didattica è stata realizzata soprattutto a distanza grazie alle nuove tecnologie digitali.
Tale sperimentazione ci ha tuttavia spinto a riflettere, stavolta per cause di forza maggiore, sulle modalità dell’Esame di Stato che, come sappiamo, all’avvicendarsi di ogni nuovo governo subisce modifiche più o meno utili, anche se la struttura di fondo rimane sempre la stessa e risale al 1923, nel disegno originario tracciato dal famigerato ministro Giovanni Gentile.
Ora fa discutere una petizione contro la prova scritta, che dovrebbe essere reintrodotta nel prossimo esame di giugno 2022. Il documento, redatto e firmato a migliaia dai diretti interessati, recita così: «Noi studenti maturandi chiediamo l’eliminazione delle prove scritte all’esame di maturità 2022, poiché troviamo ingiusto e infruttuoso andare a sostenere un esame scritto in quanto pleonastico, i professori curricolari nei cinque anni trascorsi, hanno avuto modo di toccare con mano e saggiare le nostre capacità. L’ulteriore stress di un’esame (sic!) scritto remerebbe contro un fruttuoso orale indispensabile come primo passo verso l’età adulta».
Gli errori ortografici e le imprecisioni sintattiche e lessicali presenti nel testo rischiano di trasformare la richiesta formulata al suo interno in una specie di poetico boomerang: diciamo la verità, sarebbe troppo facile mettere gli estensori di questo sgangherato appello con le spalle al muro impugnando la matita blu. Qui, infatti, si sovrappongono due discorsi che andrebbero tenuti distinti: uno legato alla forma obsoleta della maturità che, anche secondo il parere di molti addetti ai lavori, andrebbe rivista alla luce della rivoluzione informatica, sebbene certo non a pochi mesi dai fatidici giorni delle prove.
È chiaro che il nodo spinoso della valutazione dei candidati giunti al termine del ciclo scolastico dovrebbe essere sciolto affrontando la materia nel suo complesso, senza abbassare, sia detto a scanso di equivoci, le asticelle degli obiettivi da raggiungere, semmai aggiornandoli attraverso il rinnovamento graduale e progressivo dei programmi da svolgere. Ma chiunque s’interroghi sul valore legale del titolo di studio, ad esempio, è destinato a fare una brutta fine. Ci vorrà ancora molto tempo prima di mettere mano all’annosa questione.
L’altro discorso, più immediato e facilmente risolvibile, concerne l’importanza della scrittura, il cui insegnamento appare oggi assai necessario, non tanto e non solo in considerazione degli strafalcioni che vediamo moltiplicarsi sui social e un po’ dappertutto, dalle cronache televisive ai pronunciamenti ufficiali di questo o di quello. Purtroppo, la fretta domina.
La superficialità impera. Le verifiche vengono meno. Chi scrive in modo scorretto, dobbiamo ribadirlo senza alcun timore, legge poco e pensa ancora meno. In quale altro luogo, se non nella scuola, diventa quindi sempre più urgente ristabilire le condizioni adatte per educare i bambini e gli adolescenti – e non solo loro – alla dimensione verbale, scritta e orale? Se vuoi scoprire quale sia la tua opinione su un determinato argomento, la prima cosa che devi fare è scegliere una parola, comporre una frase: in questo modo comincerai a conoscere te stesso e gli altri, uscendo dalla sfera puramente istintiva.
Ecco perché, come dovrebbero sapere tutti i docenti, imparare a prendere appunti è uno dei capisaldi di qualsiasi didattica. Nel momento in cui sentiamo l’esigenza di ripristinare le gerarchie di valore all’interno della grande Rete, dove tutto sembra uguale a tutto, mentre invece così non è, intendiamo riferirci specialmente a questo. Solo chi sa scrivere può imparare a scegliere.
Fonte: Eraldo Affinati | Avvenire.it