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Tornare consapevoli dell’essenzialità di Cristo

Più vado avanti più mi convinco che l’unica risposta alla crisi della Chiesa è che un popolo – non importa quanto grande – anche un piccolo popolo di persone che pregano abbia un rapporto vero, vivo, viscerale con Cristo. Persone che dipendono da lui, in ogni respiro, che lo fanno regnare sul loro cuore, sui sentimenti, le idee, le scelte concrete. A partire da questi cuori consegnati si potrà incendiare il mondo.

Mi pare che il grande equivoco alla base della crisi del cattolicesimo in Occidente sia questo: viviamo in una cultura in cui si pensa di poter essere buoni senza attaccarci col cordone ombelicale a Cristo. Anzi, viviamo in una cultura da cui Cristo è cancellato, e anche noi cattolici pensiamo che sia sì una bella persona, un compimento, una ciliegina sulla torta, ma non l’ossigeno per noi. Pensiamo di poter ignorare che il cuore dell’uomo è anche (molto) cattivo, come dice il Vangelo, e che senza la grazia nulla possiamo. Pensiamo che i corsi di educazione civica a scuola, le manifestazioni per la cura della casa comune, le giornate contro la violenza possano educare il cuore dell’uomo. E così ci sorbiamo decaloghi che spieghino come si guarda una donna, ascoltiamo chi dice che possiamo imparare da tutte le culture (anche quelle palesemente arretrate, perché ce ne sono, è un dato oggettivo, un fatto storico), che tutto ciò che è diverso ci deve per forza piacere, anche se il nostro gusto e il buon senso dicono il contrario, perché devi essere buono e devi farti piacere tutto, non c’è differenza, tutto è uguale, tutto va bene. Se invece avverti un certo fastidio verso qualcosa, cioè pensi che esista il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, il bello e il brutto, allora devi essere rieducato – basta che tu accenda un qualsiasi mezzo di centrifugazione del cervello, e avrai la tua bella lezioncina, anche i classici ormai sono rivisitati in omaggio alla cultura della correzione del pensiero (non si salva nessuno, manco Shakespeare: ho visto a teatro una Bisbetica domata impreziosita da un balletto di servitori queer in mutande di silicone).

È naturale che chi non ha un orizzonte pensi così: non ha parametri oggettivi, non può giudicare perché il giudizio viene sempre da un rapporto, una relazione. Pare – almeno secondo Vico – che ius, da cui giudizio, venga da Ious, Giove; in ogni caso il diritto indica il tentativo degli uomini di adeguarsi a una norma (per gli antichi alla volontà divina). In ogni caso giudicare è qualcosa che puoi fare sempre e solo rapportando un oggetto a un metro. L’uomo di oggi non può più giudicare, perché non ha le unità di misura.

Ma noi abbiamo Cristo, e solo in rapporto a lui – che è la Luce – tutto può essere giudicato con chiarezza, e tutto prende senso, e vita, e riceve grazia. Guardando a lui vediamo i limiti del nostro cuore affetto da ogni cosa cattiva. La Chiesa si è illusa di potersi ergere a guida morale e spirituale del mondo, indicandogli il bene, la condotta corretta da seguire, delle norme di buon comportamento, senza parlare del fatto che senza Cristo non possiamo far nulla. Se Cristo non regna sul mio cuore, a me non interessa l’educazione civica, né i poveri, né la condotta ecologica. E così finisce che le gerarchie si esprimano su tutto per cercare di compiacere il mondo, anche in ambiti dai contorni ancora molto incerti dove forse sarebbe meglio aspettare, ma non annuncino che per noi la sola cosa che conta è stare attaccati a Cristo, unica via per arrivare a Dio. Non c’è da stupirsi che le chiese si siano svuotate: purtroppo di recente è – sicuramente in modo involontario – passato il messaggio che si può vivere anche con le chiese chiuse.

Riflettevo su questo oggi al primo incontro del Cammino sinodale che ogni parrocchia del mondo è stata invitata a fare. Sono un po’ diffidente delle chiacchiere, ma stimo molto il mio parroco, che è un uomo di grande fede e preghiera, per cui sono andata all’incontro, nonostante la carenza cronica di tempo: la Chiesa si cambia standoci dentro il più possibile. Il tema di questo cammino sono le beatitudini: al termine, non so esattamente come, dal basso la Chiesa farà sentire la sua voce, dopo avere partecipato al Sinodo tutta insieme, per la prima volta non solo i vescovi.

Il tema sono le beatitudini. Si parte con Beati i poveri in spirito (Matteo 5,3): la riflessione che ci viene consegnata, e su cui dobbiamo meditare in silenzio, è piena di spunti stupendi. Di essi è il regno dei cieli non indica un luogo, né la condizione dopo la morte, ma il privilegio di vivere già qui e ora nel regno dei cieli, cioè sapendo che Dio regna su di te e su tutto ciò che ti fa soffrire. Davvero, la traccia è ottima, ma poi arriviamo agli spunti di riflessione suggeriti. “Ci sappiamo fare compagni di viaggio di tutti gli uomini? … Ci facciamo vicini ai maledetti di oggi, a quelli che nessuno vuole incontrare?” La domanda è buona, ma se posso permettermi non è quello il punto! Il punto è: hai scelto Cristo, in ogni cosa che fai, e di conseguenza fai tutto il resto perché sei riempito del suo amore?

Mi ha raccontato don Pierre Laurent Cabantous che una volta assistette a un’intervista a Madre Teresa al meeting. Il giornalista stava iniziando la domanda: lei che ha scelto i poveri…. Madre Teresa lo stoppa subito. “Io non ho scelto i poveri, io ho scelto Cristo”. Il punto è esattamente questo. Va bene non mettersi contro il mondo, aiutarlo a essere fecondo, cogliere i semi di bene che comunque ci sono in giro, ma con la consapevolezza che senza Cristo non sappiamo fare nulla, nessuno. È anche per questo che la nostra cura della creazione non ha niente a che vedere con Greta, il nostro rispetto per le persone non è inclusività, è amore per Cristo, un amore che è sempre anche verità (quindi annunciare la verità di Dio sull’uomo). Il nostro stare nel mondo non c’entra niente con le consolazioni dell’andrà tutto bene, è la certezza che la storia la guida Dio, e per Dio non è tutto uguale. Dio sa che qualcosa fa bene ai suoi figli, che lui ama pazzamente, qualcosa no. Quindi stare nel mondo da figli di Dio è anche giudicare, senza paura, le cose, i fatti, la realtà (mai le persone). Per questo per quanto ci sforziamo non potremo mai essere integrati in un mondo per il quale esprimere giudizi sulla realtà pare l’unico peccato, e soprattutto in un mondo (anche tra i cosiddetti credenti) che ha dimenticato il peccato originale e quindi il bisogno di redenzione, e quindi l’essenzialità di Cristo. In lui, ma solo in lui, tutte le cose sono buone, e il creato merita di essere custodito, e i poveri amati, e le persone ascoltate, tutte.

Insomma, torniamo a ciò che è essenziale nel cristianesimo, e nulla lo è se non Cristo stesso, e la sua sposa. Allora torneremo attraenti, invidiabili, regnanti sulla nostra vita perché facciamo regnare Dio sul nostro cuore.

Fonte: CostanzaMirianoblog.com

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