Dopo due anni di Covid, i miei figli adolescenti sono dipendenti da pc, smartphone, social e videogiochi. Rabbia e discussioni aggressive all’ordine del giorno, pur in una famiglia un tempo felice e formata da genitori laureati ed entrambi educatori. Siamo genitori sfiniti. Siamo dunque arrivati a quello che non so più se considerare una deriva o una possibile (anche se paradossale) soluzione. Pago i miei figli perché leggano. Forniamo noi i titoli o avalliamo le loro proposte e paghiamo 1 euro ogni 20 pagine. Funziona. È assurdo ma funziona, avendo tolto ogni altra modo di ottenere paghette. I rimproveri, i tira e molla, le recriminazioni, le misurazioni in termini di tempo d’uso dei device non portavano che all’esasperazione di tutti. Occorreva dare un contenuto positivo alla loro vita, secondo noi leggere è un esercizio necessario al corretto sviluppo della persona, come studiare, fare sport o imparare uno strumento. Dato che ormai strapparli a internet è impossibile (per loro dove c’è rete c’è speranza) abbiamo deciso di fornire, anche forzatamente, delle bussole indispensabili ad orientarsi nella vita: i libri. Alcuni, soprattutto. Che ne pensi?». Questa lettera di un papà è il perfetto seguito dell’articolo della settimana scorsa sull’educatore ideale. Perché?
Questa coppia ha trovato una soluzione nuova, senza aggrapparsi alle regole del «si è sempre fatto così» o al piagnisteo sui bei tempi andati. Accolgo quindi la soluzione anche come provocazione. Messo da parte il problema a monte che prima o poi dovremo affrontare seriamente: non è sano che un adolescente usi oggetti che danno dipendenza; e accettando che la situazione sia ora come ora immodificabile (benché conosca genitori che «osano» non dare il cellulare prima dei 15 anni), sulle prime mi sono ribellato all’idea di associare la lettura a una prestazione retribuita, ma mi stavo aggrappando a un mondo che non c’è più. La soluzione di questa coppia invece rimette al centro un fatto: come si legge nell’adolescenza non si legge più per tutta la vita. Scriveva Pavese nel suo diario: «Tra i segni che mi avvertono essere finita la giovinezza, massimo è accorgersi che la letteratura non mi interessa più veramente. Non apro i libri con quella viva e ansiosa speranza di cose spirituali che un tempo sentivo». Questa sete ha un corrispettivo biologico: fino a 20-22 anni il cervello cresce e la sua plasticità viene premiata o mortificata in modo irripetibile dagli stimoli che riceve. Intelligenti non si nasce ma si diventa. L’intelligenza non è una prigione del Dna misurata dal QI, ma un flusso che si può arricchire o prosciugare. Einstein diceva: «Se volete figli intelligenti leggete loro le fiabe», intuendo che il loro meraviglioso e terribile contenuto serve al bambino per sviluppare il pensiero simbolico, nel quale fiorisce quello logico e pratico. Inoltre un libro richiede al lettore di ogni età un impegno che non si dà in nessun’altra attività intellettuale, si parla infatti di «atto della lettura», perché quella con il testo è una collaborazione attiva, ridotta al minimo quando invece guardiamo immagini (il lavoro dell’immaginazione è già fatto). Quindi non è assurdo «apprezzare» (dare un prezzo a) questo «lavoro». Insomma trovo adeguata la scelta di questi genitori perché la finestra temporale adolescente-lettura è unica: se la si perde la si perde per sempre. Non escludo inoltre che da qui possa nascere il piacere di leggere gratuitamente. Insomma (se la scuola non riesce) preferisco pagare un sedicenne per fargli leggere 1984, Delitto e castigo o l’Odissea, piuttosto che fargli «ammazzare» il tempo guardando video o immagini in rete: la lettura lo rende più attivo e creativo del cellulare. È vero che leggere non dovrebbe essere una prestazione ma una gioia, ma in una cultura in cui la concorrenza al libro è spietata, se l’alternativa è il nulla meglio far così, anche perché a quell’età basta un libro «ben assestato» per trasformare una vita. Aggiungo però, come spiega magistralmente Maryanne Wolf in Lettore, vieni a casa, che la partita si gioca tutta nei primi dieci anni di vita, età in cui aiutare il bambino a sviluppare quello che lei chiama un cervello bi-alfabetizzato, capace di muoversi su carta o schermo in modo libero, efficace e diversificato in a base al fine. La scuola sta facendo qualcosa? E come aiuta i genitori?
Lo scenario potrebbe destabilizzare – 4 euro per La metamorfosi, 15 per Il fu Mattia Pascal, 30 per Delitto e Castigo, 60 per Il Conte di Montecristo, 80 per Guerra e Pace – e confermare l’amara battuta di Oscar Wilde contenuta nel Ritratto di Dorian Gray (12 euro…): «Al giorno d’oggi la gente sa il prezzo di tutto e non conosce il valore di niente». E se invece la sfida, al giorno d’oggi, fosse proprio quella di riscoprire il valore delle cose anche attraverso il loro prezzo?
Fonte: Corriere.it