Bassa età media, assenza quasi totale di ospizi per anziani, vita all’aperto, sistema immunitario allenato da altri coronavirus o dalla malaria. Perché il Vecchissimo continente ha meno contagi?
Con 1 miliardo e 300 milioni di abitanti, l’Africa fino ad oggi avrebbe avuto 222 mila morti per Covid; cioè appena un po’ di più del Regno Unito, dove si sono registrati 145 mila morti in una popolazione di 67 milioni di abitanti, o del Perù, che di abitanti ne ha appena 33 milioni e ha già avuto 201 mila morti; per non parlare dei 274 mila morti della Russia con 144 milioni di abitanti o dei 777 mila degli Stati Uniti, che di abitanti ne hanno 330 milioni.
Fra l’altro il 40 per cento di tutti i morti africani per Covid appartiene al Sudafrica, il paese della variante omicron ma soprattutto il paese africano che presenta più caratteristiche in comune coi paesi europei colpiti più duramente – insieme alle Americhe – dal virus cinese.
Deficit statistico
Per molto tempo i sorprendenti dati dell’Africa sono stati attribuiti a un deficit statistico: i paesi africani sono quelli meno attrezzati nel mondo dal punto di vista dell’organizzazione dei sistemi sanitari, e dunque i loro dati sarebbero sottostimati e non attendibili.
A mettere in crisi questa interpretazione ci ha pensato un recente studio. Secondo un comunicato dell’American Society of Tropical Medicine and Hygiene del 19 novembre scorso, «Scienziati del National Institute of Allergy and Infectious Diseases (Niaid) degli Stati Uniti e i loro colleghi del Malaria Research Training Center di Bamako, nel Mali, stanno misurando il carico di morbilità del Covid-19 in Mali (…). Hanno effettuato lo screening di circa 2.700 persone in aree urbane e rurali alla ricerca di anticorpi del SARS-COV-2. Hanno scoperto che il 60 per cento circa era stato precedentemente infettato, con tassi ancora più alti in alcune zone».
Il Mali, che ha 20 milioni di abitanti, ha fino a questo momento denunciato appena 605 decessi per Covid-19. Se ne dedurrebbe che nel Mali, e probabilmente nella maggior parte dell’Africa, le persone si contagiano più che nel resto del mondo ma sviluppano i sintomi e muoiono molto ma molto di meno.
Società più giovane
Una volta che si sono presi per buoni o quasi buoni i dati statistici del Covid in Africa, i tentativi di spiegazione di questa anomalia imboccano strade diverse.
Secondo alcuni il fattore decisivo del diverso decorso africano della malattia sarebbe la struttura demografica: la popolazione africana è in grande maggioranza giovane, mentre il Covid causa decessi soprattutto nelle persone anziane che hanno anche altre patologie. In Europa l’età media della popolazione è di 43 anni, negli Stati Uniti è di 38,4, ma in Africa è di appena 18 anni.
Gli abitanti del Mali sono più giovani di quelli britannici di 22 anni, quelli del Niger di 25 anni. Nella sola Inghilterra l’83 per cento dei decessi da Covid è stato registrato fra persone che avevano più di 70 anni di età: in Africa gli ultrasettantenni sono appena il 2 per cento.
La spiegazione non è del tutto convincente perché il 2 per cento di africani ultrasettantenni corrisponde comunque a circa 26 milioni di individui, cioè il triplo degli 8,8 milioni di ultrasettantenni britannici. Lo stesso studio menzionato dall’American Society of Tropical Medicine and Hygiene afferma che «come il resto dell’Africa sub-sahariana, la popolazione del Mali è relativamente giovane. Ma questo comparativamente basso carico di Covid-19 è rimasto inalterato anche quando lo abbiamo aggiustato per età (con quello americano – ndt)».
Stile di vita
La spiegazione del perché gli anziani africani siano meno suscettibili di quelli europei ad ammalarsi di Covid è stata attribuita a fattori sociologici: mentre gli anziani europei non autosufficienti vengono in gran numero concentrati in strutture di assistenza, quelli africani si ritirano nel villaggio di origine se vivevano in città, e sono assistiti da una cerchia ristretta di parenti; in Europa e in America la prima ondata di Covid soprattutto ha causato un alto numero di decessi negli ospizi, che vedevano un alta concentrazione di anziani e di addetti ai servizi: sono stati questi ultimi a trasmettere agli anziani l’infezione che si è rivelata mortale.
Un altro fattore ambientale che spiegherebbe la bassa incidenza del Covid in Africa sarebbe la più alta percentuale di popolazione che vive e lavora all’aria aperta anziché in ambienti chiusi.
Ha dichiarato Phelix Majiwa, biologo molecolare ed esperto di malattie zoonotiche keniano: «Più del 70 per cento degli africani vive in aree che non possono essere definite urbane. Vivono in ambienti suburbani o in aree rurali, e trascorrono molto tempo all’aperto, lavorando o facendo qualcos’altro all’aria aperta. C’è molto spazio fra le persone. È uno stile di vita un po’ diverso da quello che si trova in Sudafrica. Lì sono piuttosto europeizzati, e la maggioranza degli africani del posto vive come quelli della diaspora».
Sistema immunitario
Un’altra ipotesi che circola riguardo al basso impatto del Covid in Africa chiama in causa fattori come le speciali difese del sistema immunitario degli africani, che sarebbe refrattario al nuovo virus perché già abituato a convivere coi coronavirus del continente, di cui sono portatori i pipistrelli della frutta, che condividono il loro habitat con gli esseri umani in molte regioni dell’Africa.
L’abstract di un articolo pubblicato il 30 settembre 2020 su The Journal of Clinical Investigation col titolo “Recent endemic coronavirus infection is associated with less-severe COVID-19” recita: «(…) mostriamo che individui con una recente documentata infezione da coronavirus endemici, paragonati a chi non l’ha avuta, manifestano una più grande frequenza di infezioni respiratorie, ma hanno la stessa frequenza di infezione da SARS-CoV-2. Cosa importante, i pazienti in cui era stato rilevato in precedenza un’infezione da coronavirus endemici, avevano una malattia Covid-19 meno severa. Le nostre osservazioni suggeriscono che risposte immunitarie preesistenti contro coronavirus umani endemici possono mitigare manifestazioni di malattia da infezione da SARS-CoV-2».
Un’altra interpretazione
Lo studio presentato al meeting annuale dell’American Society of Tropical Medicine and Hygiene non concorda con questa valutazione, e ne propone una alternativa: «Woodford (John Woodford, uno degli scienziati del Niaid autore dello studio – ndt) ha detto che i ricercatori non hanno trovato nessuna prova che suggerisca che le persone infette erano protette da un’esposizione pre-pandemica a un tipo differente di coronavirus. Ha detto che c’è qualche congettura che l’esposizione sistematica alla malaria e ad altre malattie comuni in Mali “addestri” il sistema immunitario a trattenersi dall’eccesso di reazione a un’infezione da SARS-COV-2, quelle reazioni infiammatorie che sono una causa significativa di complicazioni e di morte da Covid 19».
Un insieme di cause
Potrebbe anche darsi che tutte le spiegazioni elencate – bassa età media, assenza quasi totale di ospizi per anziani, vita all’aperto, sistema immunitario allenato da altri coronavirus o dalla malaria – concorrano ciascuna per la sua parte a spiegare la bassa mortalità da Covid in Africa.
Alcuni osservatori chiamano in causa anche le severe restrizioni, confinamenti e chiusure di attività, che i governi hanno imposto con piglio poliziesco. Ma queste hanno probabilmente concorso ad aumentare, piuttosto che a diminuire, la mortalità generale.
Come scrivono su Quartz (qz.com) Alex Ezeh, Michel Silverman e Saverio Stranges, tre scienziati canadesi, «i confinamenti severi hanno imposto un serio prezzo economico e sociale in tutta l’Africa sub-sahariana. I confinamenti hanno avuto come conseguenza aumentata insicurezza alimentare, gravidanze fra gli adolescenti, violenza sessuale e interruzioni nei trattamenti di malaria, tubercolosi e Aids».
Fonte: Rodolfo CASADEI | Tempi.it