Qual è la direzione che sta prendendo la società tecno-digitale? In che rapporto dobbiamo leggere le potenzialità positive dell’info-sfera con la trama delle disuguaglianze politiche ed economiche da cui quella stessa sfera prende origine? Quale governance dello spazio pubblico virtuale è possibile se i social sono strumento di polarizzazione e vizio del dibattito (se non addirittura dei processi elettorali)? Colamedici e Gancitano partono da qui e lo fanno sapendo che nei momenti di crisi e trasformazione – come quello che stiamo vivendo – la filosofia se ben interrogata è in grado di offrire strumenti di orientamento. Il nostro presente può essere letto a partire dall’Atene del IV secolo a.C., e i filosofi classici possono dire qualcosa sui temi del dibattito contemporaneo. E si chiedono, per esempio, che cosa direbbero i sofisti delle echo chambers, la cui dinamica identitaria ed escludente ricorda tanto quella delle poleis greche, Atene in particolare, dove donne, schiavi e stranieri non avevano “diritto di cittadinanza”.
O quale parallelismo sia possibile tra l’introduzione degli hypomnemata – i taccuini che sconvolsero la vita dei Greci al tempo di Platone – e l’avvento dello smartphone. Secondo gli autori, come Socrate e Platone hanno visto la scrittura soppiantare l’oralità e hanno assistito al tramonto del mondo mitico, così noi oggi ci troviamo di fronte all’avanzata del digitale, che sta nuovamente rivoluzionando la comunicazione, il linguaggio e le strutture sociali, salutando “l’alba di nuovi dèi”.
Dopotutto «i big data possono essere interpretati come grandi divinità in provetta che stiamo (ri)costruendo in laboratorio, capaci di conoscere, prevedere e orientare i nostri desideri, scopi e bisogni più profondi, come sa fare ogni dio che si rispetti». E i social media, lungi dal rappresentare meri luoghi di intrattenimento, incarnano il tentativo dell’essere umano di superare il sé isolato e creare un nuovo tipo di coscienza collettiva.
Colamedici e Gancitano ci provano: provano a creare una piattaforma di conoscenze e riferimenti capaci di mostrare che possiamo stare dentro il contesto digitale imparando a limitare i rischi, riconoscendo che anche il digitale è un farmaco (veleno e medicina). Il punto è se questo sia davvero possibile. È Leonardo Caffo a fare da contraltare: il digitale e l’analogico, il mondo virtuale e il mondo reale è così vero che siano compatibili? O c’è al fondo del mondo e dell’umano qualcosa che non può in nessun caso esprimersi compiutamente in un contesto di digitalizzazione dell’esperienza, a patto di estinguersi? Probabilmente nessuno lo sa perché su questo non c’è previsione possibile e perché forse siamo ancora lì, come diceva Umberto Eco, a dibatterci tra apocalittici e integrati.
Fonte: Samuele PIGONI | Confronti.it