Stupro di capodanno, in quelle parole lo squallore di un vuoto educativo
— 21 Gennaio 2022
— pubblicato da Redazione. —
I genitori sembrano non solo giustificare i crimini dei figli, ma addirittura riversano la responsabilità sulla vittima. È come se ragazzi e adulti appartenessero tutti allo stesso branco. Sono la rappresentazione vivente di un’educazione evaporata o forse mai esistita
“Se semo divertiti”. E’ con queste tre parole che uno dei ragazzi coinvolti nello stupro, avvenuto in una casa privata in occasione di una festa di Capodanno a carico di una ragazza che ha sporto denuncia, ne parla ai propri genitori. Quel ragazzo non era solo mentre agiva violenza. E in effetti, gli inquirenti hanno rintracciato molte altre conversazioni telefoniche avvenute tra i ragazzi stupratori e i loro genitori. Sono conversazione allucinanti, in cui i genitori ascoltano il racconto di un crimine come se niente fosse. Le trascrizioni letterali di alcuni stralci del dialogo tra figli e genitori rivelano un’indifferenza, a volte uno squallore che sono il riflesso diretto di un vuoto educativo in cui quel modo di agire, di gestire la sessualità, di fare violenza sul corpo di una giovane vittima ha potuto mettere radici e diventare normalità. Nelle conversazioni telefoniche non si rintraccia da parte dei genitori alcun richiamo oggettivo alla gravità dei fatti accaduti, alla presa di consapevolezza che è fondamentale mettere in gioco quando si raccoglie la testimonianza di uno stupro, da parte di chi l’ha compiuto. E’ come se ragazzi e genitori appartenessero tutti allo stesso branco di stupratori, agissero e pensassero tutti allo stesso modo. Così se i figli hanno prodotto una violenza inaudita con le loro azioni criminali sul corpo della ragazza, i genitori ne sono diventati complici con le parole usate a commento del racconto fatto loro dai figli. Adulti che non sanno più accorgersi della gravita dei reati commessi dai figli, che con le loro parole sembrano non solo giustificarne i crimini, ma addirittura riversarne la responsabilità sulla vittima diventano la rappresentazione vivente di un’educazione evaporata o forse mai esistita, dove nel passaggio del testimone dai genitori ai figli sembra non esserci nulla. In quel modo di dialogare di fatti gravissimi come se si trattasse di una barzelletta, come se la vittimizzazione della ragazza rappresentasse un particolare senza significato, il rapporto tra generazioni appare abitato da un vuoto pneumatico, in cui gli adulti appaiono figure sfuocate e improbabili. In questa vicenda sembra che i genitori si sentano assolti nel loro ruolo semplicemente perché garantiscono ai propri figli un unico diritto: quello di andare in giro a divertirsi, declinando il concetto di divertimento senza alcuna aderenza al principio di realtà, senza alcuna preoccupazione etica e morale. Torna alla mente l’appello accorato con cui un furibondo Beppe Grillo, alcuni mesi fa, urlava in un video autoprodotto che il figlio e gli amici – in un caso di cronaca dai risvolti molto simili – “si stavano solo divertendo”. Le telefonate tra i genitori e i figli riportate in questi giorni dai media ci fanno così male e generano indignazione perché in esse una manciata di parole azzerano in modo totale il ruolo educativo della famiglia. Tutti i nostri figli possono compiere errori. A volte errori enormi. Ma noi genitori non possiamo ritenere normali e giustificabili errori che sono reati gravissimi. L’adulto è quello che ridefinisce il senso della verità e del limite attraverso quello che dice e quello che fa. Ciò che è successo e che qui commentiamo mette a dura prova il concetto stesso di Adultità. E tutti noi che ne siamo rimasti indignati abbiamo il dovere morale ed educativo di ripristinarlo in ogni modo possibile. Con i nostri figli e anche con i figli degli altri, in una azione di potente e competente genitorialità famigliare e sociale. Altrimenti i nostri ragazzi rischiano davvero di trasformare la loro crescita un deserto abitato dal vuoto.
Fonte: Alberto PELLAI | FamigliaCristiana.it
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