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Così la pandemia mette fuori gioco l’autodeterminazione

Un epidemiologo e un filosofo laici mettono sotto esame i criteri indiviualisti dominanti nelle scelte sulla vita umana. Perché il Covid ci mostra che siamo tutti interconnessi e non individui isolati 

È necessario cambiare la cassetta degli attrezzi per un buon governo della comunità a cui apparteniamo: i saperi settoriali non sono sufficienti, la realtà non può essere interpretata con relazioni lineari causa-effetto, diversi paradigmi che pensavamo consolidati sono invece superati dagli eventi, a partire dall’emergenza pandemica che ci ha investiti. È questo, in sintesi, il sottotesto de «La salute del mondo. Ambiente, società, pandemie» di Paolo Vineis e Luca Savarino (Feltrinelli 2021, 214 pagine, 16 euro), riflessione originale e interessante sulla governance del pianeta: centrale il Covid-19, ma il ragionamento si estende immediatamente all’altra emergenza che ci coinvolge, quella climatica. La lente di osservazione è la «One Health», l’idea che la salute umana e dell’ambiente siano l’ordito di una tessitura unica: non si può separare l’umano dal suo contesto, siamo nel mondo della complessità dove le relazioni reciproche sono reticolari e ibride. Una chiave di lettura resa possibile dalla profonda diversità nella formazione dei due autori: epidemiologo e vicepresidente del Consiglio superiore di Sanità Paolo Vineis, filosofo e componente del Comitato nazionale per la Bioetica Luca Savarino.

Hanno scelto di scrivere il libro a quattro mani anziché separare i capitoli seguendo le competenze di ciascuno: un metodo che ha consentito uno sviluppo unico di un ragionamento articolato in tre parti. La prima inquadra pandemia e crisi climatica come fenomeni paradigmatici del nostro tempo, che impongono una riformulazione dell’etica e della politica; la seconda affronta questioni etiche più specifiche – dal triage nelle terapie intensive al tracciamento, dal Green Pass alle politiche vaccinali anti-Covid – e spiega la nascita di una bioetica globale; la terza traccia un bilancio delle considerazioni precedenti e dà suggerimenti per il lavoro che ci aspetta in politica ed etica, con la proposta di «One Ethics», cioè un’etica globale a fianco della salute globale, usando lo strumento della democrazia deliberativa, estesa anche a livello internazionale.

Gli autori non si sottraggono a chiare prese di posizione su singoli dilemmi, per esempio l’obbligo vaccinale o il dramma del triage in emergenza pandemica, cioè la scelta dei pazienti da curare quando non ci sono risorse per tutti, ma quel che indicano è soprattutto un metodo di lavoro. È innanzitutto evidente che il principio dell’autodeterminazione individuale, pilastro dell’etica liberale degli ultimi decenni, è inadeguato per affrontare pandemia e crisi climatica, cioè per prendersi cura della salute planetaria. Va invece ripensata una concezione di responsabilità collettiva e condivisa dove i singoli operano scelte individuali ma all’interno di relazioni di dipendenza reciproca, anche fra le diverse generazioni, e nella necessaria consapevolezza di essere connessi all’ambiente e ai suoi attori. Interessante, a questo riguardo, l’ipotesi di una «immunità come fenomeno urgente e globale», dove «l’immunità individuale non è pensabile se non come co-immunità, come immunità condivisa», secondo l’accezione del filosofo Peter Sloterdijk: di fronte a rischi globali le concezioni individualistiche e particolaristiche non reggono più. E se la pandemia è letta all’interno della crisi ambientale «è legittimo chiedersi se oltre alla rivincita del principio di giustizia non si assista alla limitazione del principio di autonomia anche in nome del riconoscimento dell’interdipendenza di tutti gli esseri viventi all’interno di un contesto ambientale comune».

Gli autori riconoscono il ruolo centrale del principio di autonomia in termini di battaglie per i diritti civili nel nostro Paese; osservano però anche che l’etica liberale non risponde al problema del controllo dello sviluppo tecnologico, e sottolineano l’apparente paradosso secondo cui «il pensiero liberale, nato per difendere l’individuo dai soprusi dell’autorità umana, finisce per restare vittima dell’autorità, altrettanto temibile, dei processi impersonali di tecnica ed economia». Il rapporto fra scienza, etica e politica viene discusso ripetutamente nel testo, sia attraverso i fatti avvenuti che dal punto di vista speculativo, allo scopo di riportare ciascun ambito – scientifico, politico, etico – nel ruolo che gli spetta, ed è decisa la critica alla politica quando si riduce a tecnica.
Gli autori contestano che la scienza possa giustificare una decisione politica, e sostengono con chiarezza che «la politica deve assumere coraggiosamente il proprio compito di stabilire i beni comuni e le loro priorità. Questa è la lezione principale che dobbiamo trarre dalla tragedia della pandemia». Lo stile narrativo e piano del testo lo rende sempre gradevole e comprensibile a tutti, anche nei passaggi più densi. Resta l’impressione di partecipare a una lunga, interessante conversazione per capire ciò che sta accadendo, in tempo reale.

Fonte: Assuntina Morresi | Avvenire.it

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