Sono le sei di sera di martedì 1 febbraio. Tra poche ore inizierà il festival di Sanremo. Arriva con la mascherina e un cappuccio di lana in testa. Non lo vedo da tempo, non lo riconosco subito. Si presenta, ricordo. Parliamo. Esce dal carcere dopo molti anni. No, non è uno spietato mafioso con alle spalle orribili omicidi, è uno di quei ragazzi scapestrati che, negli anni, hanno accumulato tanti piccoli reati. Oggi è un uomo libero. Libero, ma disoccupato e povero.
Unica cosa certa: in carcere non ci vuole più tornare. È ancora giovane, sulla quarantina, ha trovato una compagna che gli vuole bene, sogna di vivere sereno con lei. Ma come? Il lavoro non c’è, e i suoi precedenti pesano. Lo incoraggio: «Noi ci siamo e ci saremo. Forza! A domani».
Lo osservo mentre esce dalla chiesa. La serata è gelida e già fa buio. Inizio a galoppare con la mente. Cosa potrò fare per Ciro? A chi potrò chiedere la carità di un lavoro per lui? Ora della Messa. Il freddo e la pandemia hanno bloccato a casa molti credenti. Fine della celebrazione. In sacrestia il cellulare s’illumina in continuazione. Francesco, un giovane di Grumo Nevano, paese che quasi confina con il nostro, angosciato e incredulo, m’informa che a pochi passi da casa sua è accaduta una tragedia. Rosa, una ragazza che conosce, 24 anni, è stata strangolata da un vicino che, con l’inganno, l’ha invitata ad entrare nell’appar- tamentino che aveva preso in affitto dalla sua famiglia pochi giorni prima.
Nelle sue malsane intenzioni avrebbe voluto violentarla. Elpidio, l’assassino, ha 31 anni. Forse stava aspettando l’ora dell’inizio della prima serata del festival, Rosa, non avrebbe mai potuto immaginare che da quella casa sarebbe uscita in una bara di zinco. Cena veloce, distratta, insapore. A Napoli, nei giorni scorsi c’è stata l’ennesima mattanza di camorra.
Ancora sangue per le strade, ancora uccisioni di giovani dei clan che si contendono il territorio, gli affari, le estorsioni. Che insieme agli uomini uccidono la speranza, la bellezza, il futuro. Che impediscono ai ragazzi di crescere e sognare. Debbo aiutare Ciro. A costo di andare a gettarmi in ginocchio davanti a qualche potente, debbo a tutti i costi impedire che questo giovane, stanco e affamato, torni a bussare alle sole porte che conosce. La bugiarda sirena della malavita organizzata non ha mai smesso di cantare e d’incantare. Soprattutto quando i veri artisti – della politica, della civiltà, della legalità – tacciono, e si bendano gli occhi per non vedere. Non deve accadere. Mercoledì mattina. Preghiera, colazione, riflessione, giornali. Leggo che a Sanremo, Achille Lauro, a torso nudo, ha inscenato il rito del battesimo.
Non so che cosa abbia voluto dire e nemmeno m’interessa. A dire il vero, a livello personale, il fatto non mi disturba più di tanto. Penso ai battesimi che celebrerò domenica prossima, giornata dedicata alla vita; alla gioia dei genitori, dei nonni, della parrocchia. Mi ritrovo a riflettere sulla serietà e complessità della vita. Alla nostra fede in Cristo, a quanto nei secoli sia stata elogiata, osannata, bistrattata, calunniata. Penso all’importanza che ha avuto e ha per milioni di persone.
Penso a Padre Vincenzo Bruno, missionario negli Stati Uniti e nelle Filippine, la cui salma arriverà nei prossimi giorni per essere tumulata nel cimitero dei padri del Pime, a Ducenta, dopo una vita spesa ad annunciare il Vangelo. Penso che mai mi permetterei di irridere chi la pensa diversamente da me, soprattutto calcando un palcoscenico pagato col denaro pubblico. Certo, tutti hanno il diritto di esprimersi, di parlare, di essere originali, di fare carriera, di avere successo.
Però, tutti dovremmo essere capaci di pesare parole e gesti, nel rispetto degli altri, delle loro sensibilità, della loro fede, dei loro riti. Il quartiere a Caivano in cui sono parroco è stato definito «una delle più grandi piazze di spaccio d’Italia». Incrocio ogni giorno decine di persone schiave della stramaledetta droga. Tanti di loro, purtroppo, sono poco più che ragazzini. Uno dei pochi deterrenti è la paura di incorrere in qualche brutta avventura o di imbattersi nelle forze dell’ordine.
Sentire che qualcuno vorrebbe fare di Sanremo un illecito e comodo trampolino per promuovere le sue idee a proposito della legalizzazione della droga mi fa male. Ritorniamo a Ciro. Qualcuno, soprattutto in Campania, potrebbe aiutarmi per offrirgli – finalmente! – un lavoro onesto? La gioia di averne fatto davvero un uomo libero e felice, vi assicuro, non ha paragoni.
Fonte: Maurizio Patriciello | Avvenire.it