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Molestata dal gruppo nel metaverso, ma il trauma è rimasto nella realtà
— 3 Febbraio 2022— pubblicato da Redazione. —
3 avatar maschili hanno palpeggiato e molestato l’avatar di una madre inglese di 4 figli. “Un buon feedback per migliorare la sicurezza” ha commentato il vicepresidente di Horizon (l’anteprima già agghiacciante di cosa sarà il metaverso).
Dunque, riassumiamo in soldoni: ci stanno costruendo un metaverso, un mondo virtuale dove fare cose pazzesche. Per rinunciare alla realtà, come minimo ci saremmo aspettati in cambio un mondo perfetto. Ma a quanto pare l’incubo, e non l’utopia, è dietro la porta digitale.
Palpeggiare, stuprare sono ‘esperienze’ nella realtà virtuale?
Lo scorso dicembre un sassolino si è infilato nell’ingranaggio di Mark Zuckerberg, tutto proiettato alla costruzione del metaverso. Un primo prodotto è stato reso disponibile, si chiama Horizon worlds e promette un’esperienza immersiva in qualcosa che è più della realtà virtuale per come la conosciamo ora. Per testarlo sono state invitate alcune persone a ‘fare esperienza’ di questa piattaforma. Ed è accaduto qualcosa di opposto alla gioiosa felicità dipinta negli spot. Una donna inglese tra i partecipanti ai test di Horizon ha denunciato di essere stata molestata. Lo è stato il suo avatar, per la precisione. Ma è proprio su questo punto che la materia è scottante.
La donna, Nina Jane Patel, è una mamma inglese di 4 figli. Lavora proprio come sviluppatrice del Metaverso e per questo ha partecipato ai primi test di questo mondo alternativo. Le cose sono andate malissimo da subito:
“Ero entrata da appena 60 secondi e sono stata aggredita verbalmente e sessualmente da 3 o 4 avatar con voci maschili. Di fatto è stato uno stupro di gruppo del mio avatar, hanno anche fatto delle foto. Mentre tentavo di scappare, mi hanno urlato: ‘non fingere che non ti piaccia’”.
Credevi di fare un passo nel sogno, ti ritrovi in un ritaglio virtuale a incontrare una feccia umana molto reale.
Nascono infinite domande. È solo come guardare un film in cui assisto a una violenza su un personaggio che mi assomiglia? Che cos’è uno stupro o una violenza nel metaverso? Un’impressione? Una finzione? Un’esperienza?
L’unica risposta che riesco a formulare non risponde ai quesiti. È più che altro una certezza che si staglia all’orizzonte: giocare al gioco del Creatore con uomini e donne reali è un delirio pericoloso.
Tranquillo, c’è la Safe Zone
Da qualche giorno si possono trovare in rete i video del nuovo mondo disegnato da Facebook. Prove di un universo alternativo in cui secondo Mark Zuckerberg dovremmo muoverci tutti fra qualche anno, tra riunioni di lavoro, eventi e concerti. Dalle prime notizie che emergono sembra però che questa nuova Terra fatta di pixel abbia trascinato con sé anche i problemi di quella originale.
La realtà finisce per mettere lo zampino anche dentro il virtuale. E per scomodare l’Amleto in letargo dentro di me, chiedo: ma se questo metaverso deve offrire un’esperienza così mimica della realtà, anzi perfezionata, anzi potenziata, non dovrebbe farne parte lo squarcio provocato dalla presenza del male? È una specie di mondo libero quello in cui non esiste il male? E il metaverso ci vuole liberi? – ok, Amleto, ora basta.
La mia deriva filosofica dimostra che sono agli antipodi delle menti pratiche e brillanti dell’entourage di Zuckerberg. Altro che etica e morale, qui si tratta di analizzare il report negativo e implementare il servizio. Vivek Sharma, il vicepresidente di Horizon worlds, ha dichiarato sul caso della signora Patel:
E’ stato un incidente assolutamente sfortunato. Questo per noi è un buon feedback perché vogliamo che la modalità Safe Zone sia più facile da trovare.
Quello che nella realtà è un evento traumatico, nel virtuale diventa un buon feedback. Tranquillo, stanno lavorando per progettare meglio la Safe Zone. Cos’è? È un tasto cliccando il quale l’utente può mettersi in salvo dai pericoli e da tutto ciò che gli è sgradito nel metaverso. Caspita. Neppure questi cervelloni sono stati in grado di escogitare un modo affinché tutti gli avatar fosse buoni, educati e mansueti. Dopo la Safe Zone avremo anche i tribunali e le prigioni nel metaverso?
Conosci l’effetto Proteo?
Immersiva, ecco la parola chiave per capire il metaverso. E proprio Nina Jane Patel ha spiegato bene cosa implichi questa parola nel post in cui ha denunciato le molestie subite:
Vengono creati schemi di simulazione che includono fotoni di luce per gli occhi, input acustici per le orecchio, stimolatori tattili. Questi stimoli agiscono in modo da offrire all’utente un senso di immersione. Queste caratteristiche immersive portano a un’impressione di verisimiglianza tra sé e il programma.
Nell’orizzonte di uno spazio virtuale così avanzato l’effetto collaterale di un’immedesimazione quasi totale diventa vertiginoso. Infatti la Patel continua:
Il mondo virtuale viene progettato in modo che la mente e il corpo possano distinguere l’esperienza virtuale/digitale da quella reale. [Durante la molestia – Ndr] le mie capacità, la mia risposta fisiologica e psicologica è stata quella di viverlo nella realtà.
Ibid.
Megan Audette | Shutterstock
Questa percezione di realtà ha anche un nome, effetto Proteo.
L’effetto Proteo è la tendenza delle persone a provare nella realtà quello che capita alle proprie rappresentazioni digitali, che siano avatar o profili social. Tendenzialmente, il comportamento reale della persona si modifica in accordo alle proprie rappresentazioni digitali.
Ibid.
Anche senza scomodare una definizione, è evidente che c’è un punto di unità dietro ogni rappresentazione di sé (che sia il profilo Instagram, quello Facebook, o la faccia col filtro summer su TikTok) ed è la persona, intesa come anima – sì, occorre scomodare questa parola – che innerva ogni sua appendice.
Vi è già capitato di dare un’occhiata agli spot che promuovono Horizon? Si fa fatica a commentare.
Il velo è caduto facilmente, ora ci dicono chiaramente che si potrà fare a meno della realtà. E sarà entusiasmante. Sei in cucina con tuo marito, ma gli dai le spalle. (Oh, potenza sintetica delle immagini!). Col il tuo bel visore indosso sei altrove. Dove e come? Sei una donna con i baffi che vola nel metaverso e poi, in un attimo, ti ritrovi a un corso di pittura virtuale con un attraente uomo australiano (tuo marito intanto continua a essere alle tue spalle a preparare la colazione).
Cosa vedi tu davvero in questo spot? Un’opera diabolica di separazione, marito in un mondo e moglie nell’altro. L’uomo trova modi sempre più sofisticati per separare ciò che Dio ha unito. Ohhh, certo, ma potranno comunque ritrovarsi insieme su Horizon. Chissà perché quest’ipotesi non mi consola.
E c’è qualcosa che mi lascia amareggiata anche nella vicenda della signora Patel. Forse sono vittima di pensieri molto cinici legati alle strategie commerciali estreme che si sono viste in questi anni. Nina Jane Patel è parte del gruppo di ricercatori che stanno sviluppando il metaverso. La denuncia della molestia è stato un grido mediatico rilanciato da più testate e accompagnata da un’altra sua dichiarazione, quella di volersi impegnare a sviluppare un sistema di sicurezza per rendere il metaverso un posto sicuro per i minori. Il progetto-prodotto a cui sta lavorando si chiama Kabuni.
E’ madre di quattro figli, si può capire la preoccupazione, ma ammetto che in un cantuccio della mia testa è balenata l’ipotesi di una strategia molto raffinata di promozione per il suo prodotto. E l’amarezza che sento nasce proprio dalla convinzione che ciò che ha subìto sia stata un’aggressione reale. Da madre ferita e sgomenta avrei cominciato a pensare a come disinnescare agli occhi dei miei figli la tentazione di essere attratti nella trappola del metaverso. No, non mi sarebbe bastato restare per renderlo un posto più sicuro.
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