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La “resilienza” non basta, serve un nuovo patto tra prof e studenti

Per contrastare la crisi della scuola in tempo di Covid e burocrazia non basta “resistere”. A volta la libera iniziativa di prof, studenti e famiglie può fare miracoli

La domanda che di questi tempi si sente rivolgere un dirigente scolastico da conoscenti, amici o anche da chi si incontra occasionalmente è “come va a scuola”. Ed è sottinteso che non stanno chiedendo del progresso degli apprendimenti degli alunni o di come il lavoro dei docenti sia efficace sull’evolvere delle loro competenze.

Desiderano sapere come ce la si cava “al fronte”, perché così è percepita la scuola di questi tempi sui media.

Al preside, definito di volta in volta “sindaco” o “sceriffo” (erano i tempi della Buona Scuola), poi per fortuna evoluto in “capitano coraggioso” (ci ha pensato il collega Ezio Delfino, presidente di Disal), che ora sta mutandosi in “para funzionario Ats” (Asl per i non lombardi), vien da rispondere e con un filo di voce: “resilienza”.

Non semplicemente in onore al Pnrr o alla recente approvazione alla Camera del disegno di legge che promuove “l’introduzione delle competenze non cognitive nel metodo didattico”, ma perché questo termine utilizzato per descrivere una particolare caratteristica dei materiali, dà l’idea delle condizioni in cui si sta operando e del limite raggiunto dalla capacità di sopportazione.

Le chat dei dirigenti scolastici, che detto per inciso soffrono di patologie analoghe a quelle presenti in tutte le chat, mostrano il polso della situazione: un tentativo continuo, e non riuscito, di uscire dalla palude invischiante di disposizioni, ricevute e da tradurre in atti, quasi si fosse in un dipartimento di medicina del territorio.

Tentativo continuo, perché il Covid non rispetta weekend, pause pranzo (e chi la vede più!) e fine giornata; quando arriva, arriva e bisogna darsi una mossa ad avvisare, avviare Dad, Did, contare giorni, fissare date di tamponi e di rientri discriminando chi è poco da chi è tanto vaccinato, chi è guarito da un po’ da chi lo è da troppo e infine rispondere a un bel numero di mail e telefonate di mamme che non hanno capito in quale delle categorie sta il loro figliolo e soprattutto se deve starsene a casa, venire a scuola e quanti tamponi deve fare tra il “subito” e “cinque giorni”.

Si rischia, in effetti, di auto-avvilupparsi in questa ragnatela, dimenticando che si è in buona e nutrita compagnia: insegnanti, personale, alunni e non ultimi i genitori, come testimonia la lettera di Alessandra pubblicata su queste colonne.

Allora forse giova esplicitare le domande/lamento che sorgono a tutti in questo frangente: è questo il mio lavoro? Perché non riesco a dedicarmi a quello che dovrei? Qui si ferma tutto e io sono bloccato su queste cose … e via discorrendo, per cercare di guardare oltre, se si riesce, dribblando i monitoraggi ministeriali e smettendola di porre domande a Uffici scolastici e Ats, che tanto restano senza risposta.

Aiuta la posizione di Sofia Goggia dopo la recente caduta a Cortina (si veda l’articolo di Federico Pichetto), perché fa sorgere pian piano il sospetto che, per quanto non ideale e di cui volentieri si farebbe a meno, proprio questa sia la condizione sotto cui deve transitare il lavoro e la competenza professionale in questo momento. E non si tratta di prona, eterea e rassegnata consegna ad un fato cieco che si materializza in ben due ministeri a cui tocca contemporaneamente rispondere e alle cui disposizioni ottemperare. Come se non ne bastasse uno. E non si tratta neppure di applicare le furbe acrobazie del goldoniano Arlecchino nel destreggiarsi fra due padroni.

Si tratta soltanto dell’aiuto che la sciatrice dà ad aprire gli occhi e guardarsi attorno invece che stare ripiegati sul proprio ombelico.

Ed ecco che appare quello che c’è e che le lamentazioni rischiano di oscurare. Mi soffermo solo su due fatti emersi osservando meglio il personale collaboratore più stretto, tra i docenti e della segreteria, e i ragazzi, gli studenti più grandi. Si tratta di primo ciclo, quindi dei tredicenni.

I primi. Nel contesto di una ripresa post natalizia decisamente accelerata e la conseguente dispersione di energie sono emerse risorse e disponibilità straordinarie, segnali non di sola generosità, e condivisione, ma di effettivi incrementi di professionalità in grado di assumersi importanti quote di responsabilità seppure significativamente coordinata. Si è concretizzato così un paziente lavoro di costruzione di una collegialità di direzione. Alla faccia del supposto lavoro inconcludente di questo periodo si può godere di una buona boccata di ossigeno con cui riemergere dalla palude e guardare con meraviglia il superamento di una, molto presuntuosa, necessità di impossibile onnipotenza (quella del preside) che evolve in una comunità di lavoro efficace e dinamica.

Bisognerà che tutte queste professionalità possano affrancarsi da uno stato di semivolontariato a forme di riconoscimento giuridico e contrattuale significativo, andando a definire pienamente quelle figure intermedie, il cosiddetto middle management, e far fare alla scuola anche a questo livello un salto di qualità.

Gli studenti. Da qualche anno, nella mia scuola si è attivato un “consiglio degli studenti”, un tentativo che coinvolge le terze della scuola secondaria di primo grado. Una sorta di laboratorio di educazione civica dove i protagonisti sono i rappresentanti eletti di ciascuna terza.

I ragazzi vengono invitati a tenere gli occhi aperti e raccogliere fra i compagni esigenze, domande e proposte per poi cercare di rispondervi non solo in termini di concessioni, ma anche rilanciando la loro iniziativa e il loro protagonismo.

Ebbene in questo periodo caotico sono stati proprio quei tredicenni a prendere in mano la situazione manifestando di tenere a quel momento di confronto, esprimendo cura e attenzione per la “loro scuola” e attenzione per il “lavoro” intrapreso che non poteva restare sospeso “per qualche caso di positività da segnalare”.

Così hanno regalato al preside un’ora di confronto aperto, operativo ed efficace con decisioni prese e prospettive aperte. Certo non santi, ma sicuramente, come usano dire, mitici!

Quindi dalla resilienza, come ultima spiaggia, all’intraprendenza, passando per coscienziosità e nuova professionalità: non c’è male per un periodo dato per perso!

Fonte: Roberto FRACCIA | IlSussidiario.net

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