Pubblichiamo lo stralcio originale della lettera di don Luigi Maria Epicoco che si rivolge a don Massimo, alias Raoul Bova
Stanno terminando a Spoleto le riprese della nuova serie della fiction di Rai 1 (prodotta da Lux Vide) Don Matteo – la tredicesima stagione – e la new entry Raoul Bova – il nuovo sacerdote don Massimo – , si aggira per il borgo umbro per accontentare gli ultimi fan della sera, a caccia dei pregiati selfie e gli annessi autografi. Don Matteo, Terence Hill, passa il testimone a don Massimo, interpretato da Bova, che è già entrato nei cuori dei fedelissimi della serie senza ancora essere apparso in video: la prima tv è fissata per fine marzo.
Intanto, le fonti di ispirazione al 50enne attore romano non sono mancate. Una di queste, è stata la lettera inviatagli da don Luigi Maria Epicoco, teologo e scrittore, assistente ecclesiastico del Dicastero vaticano per la comunicazione ed editorialista dell’Osservatore Romano.
Nell’entourage della serie raccontano che appena ingaggiato per Don Matteo, Bova ha avvertito l’importanza e la «responsabilità» (ribadita anche a Sanremo ad Amadeus) del ruolo, dinanzi a quei milioni di italiani che da anni seguono Terence Hill, Nino Frassica e il cast che nel tempo è diventato una famiglia. La stessa che ha accolto con calore Bova, che ha voluto prepararsi scrupolosamente per indossare l’abito di don Massimo, incontrando il sempre energico don Matteo (Hill). Ma soprattutto, ha cercato il confronto con dei sacerdoti «veri», che gli potessero raccontare e far capire il significato dell’essere un prete nella società odierna. In questo percorso di preparazione e ricerca fondamentale e illuminante è stata importante proprio la lettera, scritta da don Epicoco.
Per gentile concessione della Lux Vide di Luca e Matilde Bernabei, pubblichiamo lo stralcio originale della lettera di don Epicoco che così si rivolge a don Massimo, alias Raoul Bova. «La gente pensa che fare il prete sia un mestiere. Uno che magari si sveglia la mattina ed è convinto di poter mettere su una bancarella per vendere parole, benedizioni, e santini. Uno pensa che basta mettersi una tonaca e la magia è fatta. Ma la tonaca non funziona se sotto non c’è un uomo, uno che sa che è il più miserabile di tutti, eppure è stato scelto. E quanto è difficile accettare il peso di quella tonaca che oggi appare più inzozzata dal tradimento di chi avrebbe dovuto amare e invece se n’è solo servito. Ma poco importa: bisogna caricarsi anche sulle spalle l’infamia degli altri. Non si diventa preti per essere benvisti. Si diventa preti per essere servi inutili. Servi gratuiti».
Un passaggio molto bello che sottolinea don Luigi Maria è quando, continua nella sua lettera «l’amore salva solo se è gratuito. È questo lo scopo di ogni prete: amare senza volere niente in cambio. Amare a fondo perduto. Amare e basta. E chi ti ama non ti dice che non soffrirai mai, che non sbaglierai mai, che non avrai mai paura, ma ti dice che tu puoi vivere tutto, accettare tutto, affrontare tutto. E te lo dice perché è con te. Fare il prete non è un mestiere, è un modo inutile di amare. Inutile come ogni amore. Inutile come l’aria».
Un messaggio profondo che ha toccato Raoul Bova che avrebbe tanto voluto leggerlo dinanzi a milioni di telespettatori nella serata in cui è stato invitato al Festival di Sanremo. Ragioni di scaletta, non l’hanno però reso possibile, e così rimediamo da queste colonne con l’auspicio che le parole di don Epicoco arrivino ben oltre il set di Don Matteo e raggiungano ogni singolo telespettatore.
Fonte: Massimiliano Castellani | Avvenire.it