Bisogna considerare “un colpo di testa”, un capriccio, l’ultimo incontro di Scolastica con il fratello Benedetto, abate di Monte Cassino? Sarebbe, nel caso, un capriccio divino!
Tutto quello che sappiamo di san Benedetto lo dobbiamo a un altro santo, il papa Gregorio Magno. Alla fine del VI secolo, affranto davanti alle disgrazie politico-sociali che riducevano in macerie l’Italia e la cattolicità al passo delle invasioni longobarde, sotto l’insopportabile peso della fiscalità imperiale e della peste, costui decise di abbandonare questo mondo votato alla perdizione, e le sue gravi responsabilità di præfectus Urbi.
Si ritirò allora nella sua casa di famiglia, sul Celio, lì dove oggi sorge la chiesa a San Gregorio Magno, e la trasformò in monastero; poi si pose sotto la regola di un abate sfollato dalle invasioni, coi suoi monaci, e che prese con sé. I rifugiati non mancavano, in quell’epoca terribile, e tra di loro si trovavano molti preti, religiosi e religiose, perché i Longobardi, convertiti all’eresia ariana, si accanivano crudelmente sul clero cattolico.
Le memorie di Gregorio
Fu così che Gregorio fece la conoscenza di monaci sfuggiti alla distruzione del loro monastero di Monte Cassino, i quali gli parlarono del loro santo fondatore Benedetto. Appassionato dal loro racconto, dallo stile di vita che essi descrivevano, Gregorio prese appunti e di lì a qualche anno ne trasse i Dialoghi, che mescolano a racconti di miracoli tutto quanto riuscì a raccogliere in merito all’abate di Monte Cassino. Storici e specialisti hanno molto discusso della credibilità da prestare all’opera ma, piaccia o no, essa è l’unica fonte a nostra disposizione su san Benedetto, e praticamente tutti si sentono da ciò vincolati a conferirle un enorme valore documentario.
Se è a papa Gregorio che dobbiamo i mezzi per conoscere Benedetto, è sempre a lui che dobbiamo la conoscenza di sua sorella Scolastica. Furono gemelli? Può darsi: quel che è certo è che entrambi sono cresciuti sostenendosi a vicenda e amandosi teneramente, essendo rimasti orfani di padre e di madre in tenerissima età.
Dietro l’esempio di Benedetto, Scolastica decise presto di consacrarsi a Dio, e presto entrò in convento. Lì ebbe modo di appurare, qualche anno dopo, che suo fratello – dapprima ritiratosi in solitudine – s’era installato a Monte Cassino: si convinse di doverlo raggiungere per fondare, nei pressi del suo, un proprio monastero, femminile, ed è proprio quanto fece, col permesso dei suoi superiori, a 5 km da quello di Benedetto. Adottando la regola del fratello, Scolastica fondò così il primo monastero di benedettine.
Un appuntamento all’anno
Scolastica non accettò alcuna mitigazione della Regola, né per sé né per le sue figlie, e poiché riteneva che le visite – per quanto di persone pie e devote – togliessero troppo tempo andando a detrimento della preghiera, dell’orazione e della meditazione, rincarò la dose sui rigori del fratello e giunse quasi a proibire ogni contatto tra le monache e il mondo esterno, affermando cioè che fosse meglio conversare col Creatore che con le creature.
Ella stessa non derogava a tale principio, e benché fosse fisicamente vicina al fratello, e nonostante la loro mutua tenerezza non avesse fatto che crescere nel tempo, stabilì eroicamente di non vedere il fratello se non una volta l’anno, stabilendo che al tramonto l’abate di Monte Cassino si ritirasse. Un edificio situato a metà della distanza fra i due monasteri serviva loro come luogo d’incontro. In più, per tutto il tempo di questo unico appuntamento annuale Benedetto e Scolastica non parlavano che di penitenze e di sacrifici, incoraggiandosi a vicenda a servire meglio Dio. Poi si separavano per un anno.
Ora, all’inizio del 543 Scolastica ebbe il presentimento della propria morte e, desiderosa di dire addio a Benedetto, senza tuttavia indicargliene il motivo, anticipò al 6 febbraio la data del loro incontro. Quel giorno, una scortata da alcune religiose, l’altro da pochi monaci, il fratello e la sorella si ritrovarono. Benedetto si mise allora, un po’ diversamente dal solito, a parlare delle cose del Cielo, del paradiso, della visione beatifica, della gioia eterna e della gloria degli eletti. Ne parlò così bene che Scolastica, meravigliata, non avrebbe mai smesso di ascoltarlo.
Le ore passarono senza che se ne rendessero conto, e all’improvviso fu buio – il sole tramontava ancora presto, in quelle sere d’inverno –: Benedetto si alzò e disse che se ne doveva andare. La sorella, normalmente d’accordo sul punto, lo scongiurò di non andare e di restare fino al mattino successivo per poter parlare con ogni agio delle loro cose ultime.
«Che hai fatto, sorella?!»
Benedetto rimase molto stupito di quello che prese per un capriccio, e tale da rendere entrambi colpevoli di trasgressione della regola concordata. Rimase così stupito che quasi s’incollerì, e disse:
Che dici, sorella? Non vedi che mi è impossibile concedere quel che mi chiedi?
E senza discutere oltre si apprestò a partire. Vedendo che non lo avrebbe piegato, Scolastica giunse le mani e pose la testa sul tavolo, chiedendo a Dio la grazia di tenere Benedetto con lei ancora quella notte. Non ebbe finito di pronunciare questa preghiera che il cielo, di un blu limpido fino al momento, s’oscurò in pochi secondi e scatenò una tempesta tanto violenta che divenne impossibile lasciare la casa.
Benedetto la guardò con riprovazione e disse: «Che hai fatto, sorella?!». E Scolastica, ricompostasi, rispose:
Fratello, ti ho supplicato umilmente di passare ancora un po’ di tempo qui con me, ma poiché me l’hai rifiutato ho chiesto questa grazia al mio Signore e Sposo, che mi ha esaudita.
E come a meglio dimostrare che il fenomeno non era naturale, la tempesta durò in tutta la sua forza fino all’indomani mattina, all’ora proposta da Scolastica per il loro saluto.
All’improvviso la tempesta si calmò e tornò il sole: Benedetto si ritirò assorto nei pensieri di quali legami la sorella deve aver intessuto con Dio per potersi permettere certi capricci infantili. A proposito di questo miracolo, Gregorio avrebbe commentato, ammirato:
Non desta stupore che una donna abbia avuto un simile potere, perché […] come dice san Giovanni, siccome Dio è amore, è naturale che abbia avuto più potere chi più ha amato.
Sotto l’apparenza di una colomba
All’alba del 10 febbraio, Scolastica rese dolcemente l’anima, senza aver mai dato l’idea di essere malata. Benedetto, in preghiera nella sua cella, vide allora la sorella alzarsi leggera verso il cielo, sotto le sembianze di una colomba. Mandò a prendere il suo corpo e lo fece seppellire nel coro della propria abbazia, nel sepolcro in cui l’avrebbe raggiunta quattro anni più tardi. Nel 585, però, i Longobardi avrebbero bruciato e distrutto l’abbazia di Monte Cassino, che i monaci superstiti abbandonarono per diversi secoli.
È in questo contesto che, duecento anni dopo, scandalizzati dall’idea di aver lasciato incustodite le reliquie dei fondatori, i benedettini di Fleury, oggi Saint-Benoît-sur-Loire, organizzarono una spedizione di salvataggio e recuperarono dall’abbazia in rovina delle ossa che supposero essere quelle di Benedetto e Scolastica; quindi le portarono in Francia.
Oltre le alpi le strade dei due fratelli si divisero: il corpo di Benedetto fu portato a Fleury, laddove quello di Scolastica fu affidato alle benedettine di Mans dove, miracolosamente scampato alle profanazioni della Riforma e della Rivoluzione, ancora oggi riposa (benché una parte delle reliquie sia stata offerta alle abbazie di Juvigny, nella diocesi di Verdun, e più tardi a Solesmes).
Ciò detto, ovviamente non manca (soprattutto in Italia) chi dica che i monaci francesi, nella loro fretta, si saranno riportati in Francia le ossa di chissà chi, e che Benedetto e Scolastica invece non hanno mai lasciato Monte Cassino…
Fonte: Anne Bernet | Aleteia.org