Il cardinale: «Nelle sue parole nessuna auto-assoluzione: esorta le gerarchie a lottare contro il peccato, non il peccatore»
«Il cuore del mea culpa di Ratzinger è nella condivisione del suo esame di coscienza davanti a Dio e agli uomini su un tema attuale e di rilievo. Benedetto XVI non intende riferirsi “solo” al giudizio di Dio, come per fuggire dalle responsabilità nei confronti dell’umanità dei tempi e luoghi del suo governo ecclesiale». Il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, definisce «bella e intensa» la lettera diffusa dal Papa emerito in risposta al rapporto sugli abusi sessuali commessi nell’arcidiocesi di Monaco. È un testo «nobile, spirituale, umano ed indica una risposta ai problemi che ci sono: esorta la Chiesa a combattere contro il peccato chiamandolo per nome».
Però nella galassia cattolica c’è chi ritiene che sia una manifestazione troppo personale per un pontefice: lei che cosa ne pensa?
«Io credo il contrario: la forza di aprirsi e di raccontare le riflessioni compiute da uomo e da credente rappresentano la sincerità e l’autenticità della “grandissima colpa”, facendo sue le responsabilità della Chiesa. Benedetto chiede perdono per le inadempienze mostrando dolore e profonda vergogna, dando una lezione di umiltà e responsabilità e prova di coraggio».
In che senso?
«Affidarsi “solo” al giudizio di Dio può diventare un modo per sfuggire al riconoscimento di sbagli di fronte agli altri uomini e donne. Joseph Ratzinger invece ha armonizzato le due direzioni verso cui si è rivolto: la responsabilità nei confronti dell’umanità nei tempi e luoghi in cui ha avuto incarichi di guida all’interno della Chiesa, e il rapporto con Dio. Si è espresso in una dimensione da grande uomo e credente, lanciando un messaggio di umanità e di fede».
Lei pensa che sarà compreso?
«È la preoccupazione che ho. Spero che sia capito nella sua altezza, universalità, mentre oggi è molto più facile pensare che l’unico criterio che conta è quello soggettivo. È l’individualismo diffuso nelle nostre società, dove esiste soltanto l’io. In Ratzinger invece coesiste la spinta a mettersi di fronte agli uomini e abbandonarsi con fiducia al giudizio finale di Cristo. Certo, riconosce che “nel guardare indietro alla mia lunga vita posso avere motivo di spavento e paura”, ma dice anche di sentirsi “con l’animo lieto perché confido fermamente che il Signore non è solo il giudice giusto, ma al contempo l’amico e il fratello che ha già patito egli stesso le mie insufficienze e perciò, in quanto giudice, è al contempo mio avvocato”. Questo passaggio è da leggere e rileggere».
Quali sono le differenze da altri celebri mea culpa papali?
«Questo affronta una piaga aperta e sanguinante, mentre altri si riferivano a malefatte compiute da uomini di Chiesa in tempi precedenti e anche lontani. Ovviamente ciò non significa dare un ordine di importanza. Ratzinger dice: “Ho avuto grandi responsabilità nella Chiesa. Tanto più grande è il mio dolore per gli abusi e gli errori che si sono verificati durante il tempo del mio mandato nei rispettivi luoghi”. Qui c’è un coinvolgimento personale che aiuta tutti quanti a non sfuggire dai propri doveri ancora presenti».
C’è chi sostiene che la missiva di Ratzinger getta un’ombra incancellabile sul suo pontificato e sulla sua persona, minandone l’immagine nella storia: è d’accordo?
«No. Anzi: con questa ammissione ha ulteriormente rafforzato la sua autorevolezza di uomo, sacerdote, vescovo e Papa emerito. Già da cardinale si era espresso chiaramente più volte, sul tema. Peraltro lui esprime il dolore, che è anche un interrogativo, per chi utilizza una svista per dubitare della sua veridicità. Tutti siamo sempre inadeguati. È ipocrita chi si scandalizza delle fragilità umane. Dio non si scandalizza del peccato. È san Pietro che si dispera per la propria debolezza, tanto che cerca di esorcizzarla affermando ciò che non farà: “Non ti tradirò mai”; per poi sentirsi perduto quando tradisce. Dio ci aiuta a essere davvero liberi dal peccato non facendo finta, fuggendolo, ma ammettendolo e affrontandolo».
La Chiesa che cosa dovrebbe apprendere da questa lettera?
«La Chiesa tutta è chiamata a combattere compatta il peccato, mai il peccatore. In questo papa Francesco è un esempio per tutti. Tutti siamo chiamati a metterci di fronte al giudizio di Dio, che è anche un grande aiuto. E farlo come è indicato nella lettera: con equilibrio, fede, lealtà, e allo stesso tempo affidandosi a Lui come avvocato».
Non è un modo per assolversi?
«No. Perché alla giustizia si arriva con il giudizio sulle colpe. Difesa non è il modo di evitare il giudizio, anzi, abbiamo bisogno del giudizio. Per i credenti entrambi i ruoli li ricopre il Signore. Ecco perché è importante non scappare dalle verifiche, umane e di fede».
Papa Francesco ieri mattina ha detto che sono belle le parole di Benedetto XVI sulla morte…
«Ratzinger ci ha spiegato come non lasciare prevalere il timore e l’angoscia davanti alla “porta oscura”: guardarla negli occhi ci aiuta a vivere meglio».
Fonte: Domenico Agasso | LaStampa.it