La notizia ha fatto il giro del mondo. È stato dimostrato come sia possibile creare una piccola stella in un laboratorio, tenerla in vita per pochissimi secondi e sperare così di potere ottenere più energia di quanta ne sia stata utilizzata per accenderla: il processo dura poco ma è da considerarsi una vera fusione.
Doctor Octopus e i MegaJoule
Creare una mini stella e produrre energia tramite fusione termonucleare non è facile come dirlo, soprattutto se vi viene in mente il Doctor Octopus che in Spider Man 2 perde il controllo del suo marchingegno futuristico e costringe la città a fare i conti con la sorgente di energia prodotta da una mini stella. Film a parte, gli esperimenti effettuati nel laboratorio Joint European Torus (JET) hanno prodotto 59 MegaJoule di energia in un intervallo di tempo di cinque secondi (11 MW di potenza).
Non stiamo parlando di un’enorme produzione di energia, anzi dovrebbe bastare solo a far bollire l’acqua di un centinaio di bollitori elettrici. Ma diamo il giusto peso alle cose: questo risultato è un nuovo record mondiale, più del doppio di quanto ottenuto in test ormai datati 1997. E l’implicazione maggiore è che la strada è percorribile. Sappiamo quanto sia difficile parlare di energia e quanto sia rischioso anche solo pronunciare la parola “nucleare”: ho visto gente andare ad abbracciare una batteria, esclamare “cella elettrolitica” o fare la croce con le dita.
Un po’ di chiarezza su fusione e fissione
Metteteci le serie TV, il referendum e i giornalisti scientifici più giornalisti che scientifici, ed ecco pronta la disinformazione. La fusione termonucleare non è la fissione nucleare: sono due cose diverse. La reazione nucleare di fissione coinvolge nuclei radioattivi che, in determinate condizioni (cioè cattura di neutroni), decadono in nuclei più piccoli in modo spontaneo o artificiale: il risultato finale è un botto di energia. Ogni evento genera altri neutroni che in un processo a catena investe altri atomi radioattivi: è un processo che se non viene rallentato o controllato porta a catastrofi ben note. Ma tutto sommato funziona bene e le centrali nucleari producono calore in un modo del tutto simile a una centrale termoelettrica a vapore ma con la grande differenza del combustibile: barrette di uranio o plutonio.
Purtroppo esistono diversi problemi con i reattori a fissione: lo smantellamento, le scorie, il sigillo del reattore, il materiale rimasto a contatto con la radioattività. La vita operativa di un reattore è di circa 30 anni e infatti stiamo assistendo allo smantellamento di diversi siti di produzione in giro per il mondo ma anche alla progettazione di nuovi siti futuri: i nuovi progetti dovranno rispettare la sostenibilità (minimizzazione delle scorie), l’economicità, la riduzione dei rischi di proliferazione nucleare nonché la sicurezza e affidabilità.
La fissione sfrutta la caratteristica di alcuni atomi di produrre energia quando tali atomi si scindono in altre particelle più piccole: purtroppo come per le fonti energetiche tradizionali, tipo carbone e petrolio, che emettono nell’ambiente sostanze inquinanti e gas a effetto serra, anche la fissione nucleare rilascia scorie radioattive. Non è, quindi, energia pulita.
L’intuizione di Fermi
Per inciso, le fondamenta del processo di fissione sono made in Italy; quando la città di Roma negli anni Trenta oltre che caput mundi è stata anche la capitale della Fisica e in via Panisperna un ragazzo di nome Enrico Fermi giocava a curling con i neutroni lenti: capì infatti che i neutroni possono indurre la radioattività negli elementi pesanti. Assieme alle competenze di un’equipe composta da Rasetti, Amaldi e Segrè, il quarto moschettiere Fermi costruisce il suo spara-neutroni.
Sarà infatti Fermi che, rimasto solo a bombardare diversi elementi della tavola periodica, giocando al bersaglio col Fluoro nota una reazione dalla quale emergono elettroni aprendo definitivamente l’epoca d’oro del cosiddetto decadimento beta: si poteva produrre la radioattività artificiale. Questa scoperta gli valse il Nobel del 1938 e un posto fisso nella top ten nella storia della fisica.
Come riprodurre la fusione nucleare
Se la fissione è facilmente riproducibile lo stesso non vale per la fusione termonucleare: processo energetico che alimenta “il sole e l’altre stelle”. Le reazioni termonucleari sono un processo molto efficiente: da almeno 4,5 miliardi di anni in un secondo il Sole produce 10 milioni di volte l’energia che un uomo consuma in un anno. Nuclei di atomi leggeri si fondono generando “nuovi” nuclei più pesanti (con un numero maggiore di protoni e neutroni). Ma le condizioni necessarie perché questo processo si inneschi sono purtroppo l’alta densità e l’alta temperatura, quindi l’ambiente ideale è il nucleo delle stelle: tutti gli elementi più pesanti dell’idrogeno e dell’elio sono stati sintetizzati all’interno delle fornaci stellari.
Se inizialmente l’Universo era interamente costituito da idrogeno ed elio oggi sappiamo che qualunque elemento più pesante dell’elio è stato generato dalle stelle di vecchia generazione: mica lo si dice per finta che siamo figli delle stelle. Ovviamente le enormi pressioni gravitazionali delle stelle consentono che ciò avvenga a temperature di circa 10 milioni di gradi. Alle pressioni molto più basse sulla Terra, le temperature per produrre la fusione devono essere molto più elevate, parliamo di un centinaio di milioni di gradi. Non esistendo materiali che possano resistere a tale calore, per ottenere la fusione in laboratorio, gli scienziati hanno escogitato una soluzione in cui un plasma, cioè del gas surriscaldato, è letteralmente “sospeso” all’interno di un campo magnetico a forma di ciambella.
Un mini-Sole nella patria del Re Sole
Il primo reattore che sia mai stato costruito è proprio il Joint European Torus e rappresenta il primo seppure piccolissimo passo che porterà la ricerca della fusione nucleare alla realizzazione del nuovo promettente progetto ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor) in fase di implementazione a Cadarache nel sud della Francia a 40 km da Marsiglia: con un costo stimato di 10 miliardi di euro porterà alla nascita di un potenziale mini-Sole nella patria del Re Sole. Finanziato da diversi governi, inclusi Ue, Stati Uniti, Cina e la Russia, sarà l’ultimo passo per dimostrare che la fusione nucleare sulla Terra è possibile e non prima del 2060 diventare finalmente fonte di energia affidabile.
Nella camera a vuoto di ITER un plasma (di deuterio e trizio) tenuto insieme da un forte campo magnetico sarà portato fino 100 milioni di gradi: forzati a incollarsi l’uno verso l’altro, deuterio e trizio, avvieranno la reazione di fusione nucleare. Il processo darà luogo alla formazione di neutroni altamente energetici che trasferiranno il calore necessario per il funzionamento di una turbina a vapore generando elettricità. Finora i processi di fusione durano solo pochi secondi: lo scopo di ITER sarà quello di riuscire a controllare meglio il plasma per poter accendere e spegnere il processo di fusione.
Su scala nucleare non si butta via niente
La notizia che ha scosso sia la comunità scientifica sia noi che paghiamo le bollette è proprio l’aver dimostrato la stabilità del plasma nell’arco di cinque secondi. Cinque secondi possono sembrare poca cosa, ma su scala nucleare non si butta via niente: e poi ci spinge a pensare di poter passare da cinque secondi a cinque minuti e perché no anche a cinque ore ciao ciao. Gli esperimenti con JET non possono durare di più: i suoi elettromagneti in rame si surriscaldano troppo mentre invece ITER utilizzerà magneti superconduttori raffreddati internamente.
Le centrali che verranno dopo ITER dovranno necessariamente ottenere un guadagno netto che potrebbe essere immesso nelle reti elettriche: non possiamo utilizzare più energia (per attivare il processo) di quanta ne possiamo ottenere, il gioco non varrebbe la candela. Gli scienziati che hanno lavorato e lavoreranno su ITER porteranno avanti il testimone della ricerca in un percorso di generazione in generazione. L’energia pulitissima andrà bene anche ai più fissati con il politically correct e forse sarà il mondo che vedranno i nostri figli: reattori a fusione con basse emissioni di carbonio e basse radiazioni.
Quel giorno, quando sorge il sole, non importa che tu sia deuterio o trizio, l’importante è che cominci a fondere.
Fonte: Paolo Galati Tempi.it