La scena è quella famosa, per sempre impressa nell’immaginario di tutti i popoli, del tank man, l’uomo che si oppone alla colonna dei carri armati nella via adiacente a Piazza Tienanmen dopo il massacro del 4 giugno 1989. Ma al posto di un sacchetto, tiene in mano un ombrello giallo, simbolo delle proteste a Hong Kong. E i cingolati, al posto della testa semovente da cui sporge il cannone, hanno la corona a punte del coronavirus che a tutti è divenuta così familiare negli ultimi due anni. È un’immagine semplice, geniale, potente e dal significato inequivocabile che spiega meglio di mille parole la Cina di oggi: ieri il regime comunista combatteva la sua battaglia politica con la brutalità dei fucili e dei carri armati. Oggi la sua nuova arma è il Covid.
L’incredibile mostra di Badiucao a Brescia
È solo una delle tante opere contenute nella mostra “La Cina (non) è vicina), la prima personale di Badiucao, lo pseudonimo dell’artista dissidente considerato il “Banksy cinese”. L’artista, che ha sempre lavorato mascherato, ha svelato la sua identità solo nel 2019. L’esibizione ospitata con coraggio dal Museo di Santa Giulia a Brescia, che si è aperta il 13 novembre, doveva terminare domenica, ma a causa della grande affluenza di pubblico (oltre 15 mila visitatori) è stata prorogata fino al 20 febbraio. E vale davvero la pena rimandare ogni altro impegno per visitarla.
Al successo dell’esibizione, oltre al talento dell’autore, ha contribuito suo malgrado anche la Cina, che attraverso l’ambasciata a Roma ha fatto di tutto per impedire che la mostra aprisse i battenti minacciando ripercussioni sui rapporti tra Italia e Cina. Il sindaco Pd di Brescia, Emilio Del Bono, per fortuna non si è fatto intimidire e vedere in giro per la città i cartelloni della mostra strappati e vandalizzati non fa che invogliare il visitatore ad andare a vedere perché la seconda potenza economica del mondo ha così paura di un giovane artista (35 anni).
Lo scandalo del latte in polvere
Chi già conosce Badiucao, che usa come principale canale di diffusione per le sue opere Twitter, rimarrà sorpreso dalla quantità di diversi linguaggi artistici che è in grado di maneggiare con maestria. Chi non lo conosce, invece, resterà semplicemente sbalordito.
Impressionante e lugubre l’installazione realizzata con latte in polvere con il quale sono ricreati i corpi senza vita di otto bambini, distesi su sacchi della spazzatura, a denuncia dello scandalo del 2008 quando in Cina fu venduto latte in polvere contaminato con sostanze tossiche che avvelenò quasi 300 mila neonati, uccidendone almeno sei. Illuminante poi il calco fatto con il sangue dell’artista di 64 orologi, per richiamare la data del massacro di Piazza Tienanmen (4 giugno), quelli donati dal governo ai soldati che parteciparono alla strage.
Da Li Wenliang alle Olimpiadi
Attualissima la sezione dedicata a Li Wenliang, il medico che scoprì per primo l’epidemia di Covid, poi morto a causa del virus, e che fu silenziato e minacciato dal regime, che permise così al virus di circolare liberamente per un mese e di diffondere la pandemia in tutto il mondo. Ironica e inquietante la serie di quadri su Winnie the Pooh, nuovo bersaglio della censura in Cina dopo che alcuni utenti hanno fatto notare la somiglianza tra il simpatico orso e il presidente Xi Jinping.
Se la sezione dedicata a Hong Kong è un piccolo trattato di storia contemporanea per immagini (molto azzeccata l’idea di spargere per la sala i mattoncini usati dai manifestanti per contrastare la polizia e di permettere ai bambini di utilizzarli come fossero Lego), il pezzo forte della mostra di Badiucao è sicuramente la serie di opere dedicata alle Olimpiadi. L’artista reinterpreta le diverse discipline dei Giochi invernali per denunciare le violazioni dei diritti umani da parte del Partito comunista: la repressione in Tibet, la distruzione dei diritti democratici di Hong Kong, l’arresto di quasi due milioni di uiguri nel Xinjiang, la sorveglianza ipertecnologica di massa della popolazione e l’utilizzo politico del Covid, che sostituisce la pietra da curling. Ogni poster è in tutto identico a quelli ufficiali per sponsorizzare le Olimpiadi, ma a ben guardare i cinque cerchi olimpici sono fatti con filo spinato.
La connivenza dell’Occidente
Acuta e sottile, infine, la critica ai grandi brand occidentali, dei quali Badiucao storpia le pubblicità, che pur di continuare a fare affari con la Cina e produrre a basso costo, scendono a compromessi con un regime che viola i diritti umani della popolazione. Apple, Coca-Cola, Muji, Nike: l’estro dell’artista non risparmia nessuno.
Concettuale e geniale, infine, l’installazione Dreams: dopo aver acquistato su internet uno stock di 4.000 matite identiche, Badiucao le ha affilate col coltello una a una disponendole in piedi su un letto come fossero un materasso. Pur avendo ciascuna una punta unica e diversa da tutte le altre, poste una di fianco all’altra nella struttura in legno del letto, che rappresenta il “sogno cinese” tanto sbandierato da Xi Jinping, scolorano e perdono la loro individualità dando vita all’incubo dell’artista: l’omologazione nella società controllata dal regime comunista dove nessuno può esprimere la propria individualità.
La forza di Badiucao
Ma la forte critica politica, che non si limita alla Cina, di cui è impregnata la mostra di Badiucao non è tutto. Il significato più profondo dell’esibizione è probabilmente la performance art che ritrae l’artista nei panni del tank man in diverse città del mondo. «Io non credo che tutti possano essere come il tank man», dichiara Badiucao a Tempi in una lunga intervista che sarà pubblicata sul prossimo numero del mensile. «Io credo che il tank man sia in ognuno di noi. Lui non era superman, era una persona come tutte, che davanti ai soprusi del regime ha detto “basta”. Io sono costantemente minacciato dal regime, che mi ha impedito di esibirmi decine di volte. Spero che la mia arte e la mia vita possano ispirare la gente proprio come ha fatto il tank man. Ognuno di noi ha questo potenziale». Visitare a Brescia la mostra “La Cina (non) è vicina” può aiutare a scoprirlo.
Fonte: Leone Grotti | Tempi.it