Ripartenza, finanziamenti, Pnrr sono parole che riempiono da mesi la cronaca. Spesso però le soluzioni proposte paiono tamponare i problemi, anziché dare il segno di una reale svolta. Per fortuna non è sempre così: la Regione Lazio, ad esempio, si è fatta promotrice di un’interessante iniziativa sotto più punti di vista battezzata Bonus Lazio Km 0. Si tratta di un contributo a fondo perduto a beneficio dell’anello finale della filiera agroalimentare: la distribuzione in tutte le sue accezioni (dalla ristorazione alla vendita al dettaglio); cercando di innescare una connessione virtuosa con l’inizio della stessa, ossia la produzione.
L’obiettivo è favorire l’acquisto e il consumo di prodotti tipici del territorio, elevandoli da beni di prima necessità volti a soddisfare un bisogno fisiologico (nutrirsi) a presìdi di biodiversità e tradizioni delle comunità, nonché promotori dell’economia locale.
È dai territori e dalle loro peculiarità che dovremmo infatti ripartire per un futuro che porti con sé un minimo di prospettiva. Mentre il rischio è che nell’uscire dalla situazione pandemica, e dalla crisi socioeconomica che ne è diretta conseguenza, assistiamo impotenti a un degrado dell’economia di prossimità; rimpiazzata dall’espandersi senza tregua delle vendite online. Mi chiedo per quale motivo le associazioni dei commercianti non denunciano quanto sta accadendo. Perché non rivendicano i benefici in termini di tassazione garantiti ai colossi del digitale, in virtù delle loro sedi dislocate dove fa più comodo dal punto di vista fiscale.
Siamo in presenza di operazioni di greenwashing mai viste prima. Dalla multinazionale che pratica una sostenibilità di facciata a quella che si veste da socialmente responsabile diventando paladina del diritto al lavoro. Queste sono forme di appropriazione di valori che da sempre sono emblema dell’economia locale ma che, a causa del galoppare della globalizzazione, per molti anni sono stati messi a tacere perché ritenuti superflui. Allora perché rimaniamo silenti di fronte a questa situazione drammatica — facendoci male da soli — e non iniziamo un processo inverso e virtuoso che ponga nuovamente al centro i territori e le comunità?
Le città e i paesi si stanno depauperando in modo serio, e per certi aspetti irreversibile, delle attività commerciali di vicinato, da sempre un carattere distintivo della nostra penisola, e apprezzate anche dai turisti alla ricerca di esperienze autentiche legate all’italianità. Dopo i periodi più bui della pandemia molte serrande di ristoranti, bar e botteghe non si sono più rialzate. E molti piccoli produttori di qualità, che sono la spina dorsale dell’economia locale, si sono trovati in difficoltà. In entrambi i casi alla base della crisi ci sono logiche di mercato e distributive perverse, che guardano solo al profitto — quanto mai necessario — ma che dimenticano che il cibo, grande patrimonio del nostro Paese riconosciuto a livello internazionale, è anche bellezza, piacere e conoscenza. Queste sono caratteristiche insite nei prodotti di qualità legati al territorio, ma che vengono esaltate dal connubio fortunato con gli operatori della ristorazione, che li trasformano e poi li raccontano con passione ai loro commensali.
Se vogliamo costruire un futuro diverso più prospero, inclusivo e che promuove e tutela il patrimonio agroalimentare, dobbiamo cambiare prospettiva; e l’agroalimentare — in virtù anche del suo peso in termini monetari — mi sembra un buon punto di partenza. Ecco allora che guardo al bonus della Regione Lazio con entusiasmo. È un esempio di come, attraverso una misura economica ben pensata, si possano attivare dinamiche socio-culturali virtuose. Mi auguro che quanto intrapreso funga da traino per altre Regioni. L’uscita dall’emergenza può essere una grande occasione per sviluppare iniziative che sostengono chi genera economie e benessere per tutta la comunità e non solo per la propria impresa. E in tutto ciò le istituzioni devono avere un ruolo da protagoniste.
Fonte: Carlo PETRINI | LaRepubblica.it