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Con i bambini non dite mai: la guerra è come un litigio

Le notizie che arrivano dalla Russia e dall’Ucraina ci stanno facendo ripiombare in uno stato d’ansia che speravamo potesse ormai essere in qualche modo archiviato dopo i due anni bui di pandemia. Si cominciava a rivedere la luce, invece l’invasione militare russa in Ucraina ci fa fare un balzo indietro. Se ne parla ovunque e la guerra ha spalancato le porte della vita anche di bambini e ragazzi. Come si può affrontare con loro questo tema?

La guerra è un fenomeno molto lontano sul piano cognitivo dal mondo dei bambini. Ci sono contenuti sostenibili su piano neurocognitivo e neuroemotivo, altri non sostenibili. Almeno fino a 7-8 anni è meglio proteggerli: a quell’età, i bambini non hanno il senso della distanza e non possono comprendere quanto i bombardamenti avvengano vicini o lontani da noi. Dai 9-10 anni si può iniziare a parlarne, tenendo lontane le immagini di distruzione e di morte. Non abbiamo nessun vantaggio nel creare il panico nei nostri bambini. I due anni di pandemia ci hanno dato prova che, se l’ambiente è ansiogeno, i bambini diventano ansiosi, possono fare confusione, pensare di essere in pericolo. E, quando un bambino pensa di essere in pericolo, dal punto di vista emotivo, si attivano corto circuiti non indifferenti che possono impedire di vivere normalmente. Entra in uno stato di contrazione emotiva che produce anche uno stato di contrazione psicologica e cognitiva. Potrebbe iniziare a dormire male e avere attacchi di aggressività.

I nostri bambini sono già molto provati dalla pandemia che li ha sottoposti a gravi restrizioni, tuttora in vigore. Se ora aggiungiamo la guerra in Ucraina, raccoglieremo i nostri figli e nipoti… col cucchiaino! I bambini hanno bisogno di leggerezza. Ho l’impressione che, in generale, come società adulta abbiamo perso la cognizione di quale sia la percezione della vita e della realtà di un bambino. Dobbiamo davvero metterci in testa che i bambini non sono come noi, dovremmo avere molto più rispetto.

La guerra a scuola. La nostra Costituzione contiene un messaggio molto chiaro, di facile comprensione da parte dei bambini: «L’Italia ripudia la guerra». Vorrei invitare tutti gli insegnanti a far dipingere dai loro alunni l’articolo 11, così che ogni scuola diventi un monumento parlante di questa scelta di pace. Un errore che deve essere assolutamente evitato è mettere in relazione la guerra con i litigi tra bambini. È assolutamente sbagliato dire: «È come quando tu litighi con i tuoi compagni». Si tratta di terrorismo educativo. La guerra è violenza, distruzione totale, non c’entra niente coi litigi dei bambini, coi conflitti tra ragazzi. Anzi, più bambini e ragazzi imparano a litigare bene, più avremo persone contro la guerra. È imparando a gestire i conflitti che si riduce la violenza. Il vero antidoto a guerra e violenza è la capacità di gestire bene i conflitti che va educata fin da piccoli.

La guerra e i social. Tra i tanti poteri del web certamente vi è quello di ‘accorciare le distanze’ e di rendere accessibile qualsiasi notizia in maniera approfondita. Da tempo i ragazzi sono a contatto con immagini di guerra. Si pensi alla Siria e all’Afghanistan: in quel caso, i nostri ragazzi hanno potuto vedere i tagliatori di teste! Da sempre, come pedagogisti, diciamo ai genitori di non cenare con la televisione accesa, specie sui notiziari.

La guerra e la memoria. È tema centrale: i giovani europei non vivono una guerra da due generazioni. In Europa si muore più di Covid che di guerra e questa è una novità storica. I ragazzi hanno dunque una memoria senza guerra e non sono disposti a praticare qualcosa che ormai è uscito dall’immaginario genealogico. Quando nel 2000 andai ad aiutare i bambini in Kosovo, mi resi conto che la memoria genealogica della guerra in loro era molto forte e questo creava, a livello mentale e psicologico, delle disponibilità neurocerebrali, come dire: «Lo abbiamo sempre fatto e continueremo a farlo». Nell’Unione Europea la memoria della guerra si è spenta, creando al suo posto una memoria positiva dei vantaggi della pace. Più complessa è la situazione in Russia, dove guerre ci sono state anche recentemente ed esiste dunque come un’attitudine che crea un immaginario di un certo tipo. La guerra, fortunatamente, non è nel nostro immaginario e dobbiamo respingere ogni possibilità che ci torni.

Genitori e insegnanti, insomma, hanno la responsabilità di non lasciarsi loro stessi travolgere, di non diventare vittime, a loro volta, di quello che è uno dei primi scopi della guerra: creare paura e una sensazione di impotenza.

Fonte: Daniele NOVARA | Avvenire.it

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