Invece di aiutare malati e disabili si discute la legge sull’eutanasia. Invece di rilanciare la scuola si prova a facilitare il consumo di droga. Costa fatica uscire dal Paese dei balocchi.
Articolo di Alfredo Mantovano, tratto da Tempi mensile, marzo 2022.
Di ‘andrà tutto bene’ si è detto già tanto: un tentativo beota di esorcizzare un male vero, che si è tirato dietro milioni di morti nel mondo, insieme con le sofferenze di chi è rimasto, e con danni economici non ancora quantificabili. Quell’espressione si è rivelata non soltanto una irritante manifestazione di impotenza: è stato il simbolo di una voluta mancata consapevolezza della pandemia, della sua dimensione devastante, del suo lascito di indebolimento sociale, di incremento del rancore, di sfilacciamento di relazioni, di allontanamento dalla fede.
Conoscere il male che ti colpisce non è necessariamente il presupposto per incrociare la terapia che risani, ma è la strada per affrontarlo con qualche luce che illumini il percorso; per accettarne financo l’esito ineluttabile, ma avendone coscienza, non vagolando nel buio. Quella coscienza può pure lasciarti insonne, ponendoti brutalmente di fronte a una realtà che avresti voluto evitare: ma se la realtà è quella, disconoscerla è ancora peggio che affrontarla nella sua crudezza.
Nonostante il clamoroso insuccesso, il giro mentale che soggiace all’‘andrà tutto bene’ non è scomparso: quel che accade in questi giorni sulla scena istituzionale e politica ne è il riflesso. Mentre scrivo lo stato di emergenza da Covid-19 è ancora operativo e i carri armati russi stanno entrando a Kiev; eppure non già i discorsi, ma la sostanza sembra non tenerne conto.
L’inadeguatezza del sistema sanitario nazionale, emersa con drammaticità dai primi giorni della diffusione del virus, soprattutto nelle articolazioni dei medici di base, imporrebbe – avrebbe dovuto imporre – un riequilibrio di competenze verso la maggiore responsabilizzazione del sanitario che è più a contatto con le famiglie, visto che il carico dei contagi si è riversato esclusivamente sugli ospedali, portandoli al collasso. Imporrebbe – avrebbe dovuto imporre – rendere operative sull’intero territorio quelle terapie del dolore che restano confinate in aree circoscritte perché non adeguatamente finanziate, e varare una normativa sui c.d. caregiver, per aiutare chi è in difficoltà perché malato o disabile o anziano. La Camera ha invece approvato il testo unificato sull’eutanasia, che nei fatti indica nella soppressione del paziente la risposta alle sofferenze del malato, o del disabile, o dell’anziano non autosufficiente.
Il passo indietro sul terreno della solidarietà sociale imporrebbe – avrebbe dovuto imporre – aiuti concreti alle famiglie, soprattutto a quelle maggiormente colpite dalla pandemia anche a causa della perdita, o della riduzione, del lavoro: qualcosa di meno simbolico dell’assegno unico familiare, sbandierato come il cambio di passo e irritante nella sua inconsistenza. All’ordine del giorno del Senato vi è invece l’ennesima modifica del regime del doppio cognome dei figli, a incentivare il contenzioso intrafamiliare, mentre il leader di quello che i sondaggi danno come il maggior partito italiano propone la ripresa dei lavori sul d.d.l. Zan, ritenendo con evidenza l’omofobia la prima emergenza nazionale.
L’ulteriore passo sulla via della disaggregazione e della solitudine fra gli adolescenti e fra i più giovani causato dalle misure anti Covid nelle scuole imporrebbe – avrebbe dovuto imporre – una ripresa a pieno regime dell’attività scolastica e di formazione, con l’obiettivo, oltre che di riprendere a studiare veramente, anche di riscoprire il senso della comunità, che una scuola ben fatta concorre a formare. All’ordine del giorno della Camera vi è il testo unificato sulle droghe che, se approvato, renderebbe ancora più agevole rintracciare, e quindi consumare, stupefacenti di qualsiasi tipo, in primis i derivati della cannabis.
‘Andrà tutto bene’ è in fondo la declinazione contemporanea del Paese dei balocchi: nel quale si arriva beoti e illusi di vivere un gioco permanente, privo di sofferenza e di problemi. Ma dal quale l’uscita è complicata e faticosa: richiede come primo passo prendere atto dell’asino che sono diventato. Richiede cioè non soltanto di tornare in me stesso, ma di aprire finalmente la mia intelligenza a Dio, e di fare i conti con la realtà. Quello che non si realizza con una canna offerta per legge a buon mercato da un Parlamento fuori dal mondo.
Fonte: Alfredo MANTOVANO | CentroStudiLivatino.it