Caro direttore, quanti hanno piccole o grandi responsabilità politiche dovrebbero unirsi alla preghiera di papa Francesco del prossimo 25 marzo. L’annunciata consacrazione di Russia ed Ucraina al Cuore Immacolato di Maria infatti non è un “affare” religioso e deve riguardare anche noi laici impegnati.
Per quanto ai nostri occhi di occidentali scettici e stanchi appaia come un qualcosa di simile ad una formula magica, che evidentemente non può prestarsi a far fronte al massacro della guerra. Per non parlare del richiamo che quell’atto suscita in chi ha vissuto gli ultimi scampoli di Novecento, con il suo portato di ideologie violente che ci siamo lasciati alle spalle: il terzo segreto di Fatima e il collegamento all’attentato subito da papa Wojtyla il 13 maggio 1981. Un attentato le cui responsabilità non sono mai state completamente accertate, che avrebbe dovuto portare alla morte di Giovanni Paolo II, ma che allo stesso pontefice polacco allora impegnato a sostenere la propria nazione nella lotta al regime sovietico fece dire: «Fu una mano materna a guidare la traiettoria della pallottola e il papa agonizzante si fermò sulla soglia della morte».
Cos’è questa consacrazione?
Del resto la Russia «spargerà i suoi errori per il mondo, promuovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa», aveva detto la Madonna ai tre pastorelli portoghesi nel 1917. Quando in occasione del Giubileo del 2000 Giovanni Paolo II canonizzò due dei tre bambini di Fatima e rivelò al mondo il contenuto del terzo segreto, l’intellighenzia laicista lo attaccò accusandolo di ordire manovre di potere tutte interne alla Chiesa, tanto che Eugenio Scalfari scrisse che Wojtyla stava solo preparando la sua canonizzazione ancora vivente.
Allora cos’è questa consacrazione di papa Bergoglio? Si tratta di un “tradimento” da parte dell’attuale capo della Chiesa, salutato come progressista e moderno proprio da quanti un tempo erano stati i critici di Giovanni Paolo II, e che segna un brusco ritorno al Medioevo? Significa avallare fantasie apocalittiche sul destino sordo e cieco dell’umanità, quando invece bisognerebbe richiamare la necessità dell’esercizio di una fredda ragione per fermare la spirale della follia bellica? Tutt’altro. La decisione di Francesco sembra dire proprio tutt’altro. Sembra essere anzi più ragionevole e potente nel suo richiamo delle pur giustificate sanzioni economiche quale immediata reazione all’aggressione di Vladimir Putin ad uno stato sovrano.
Una “mano materna”
Spiegò così il collegamento tra l’attentato a Wojtyla e il terzo segreto di Fatima l’allora prefetto per la dottrina della fede, il cardinal Joseph Ratzinger: «Che qui una “mano materna” abbia deviato la pallottola mortale, mostra solo ancora una volta che non esiste un destino immutabile, che fede e preghiera sono potenze, che possono influire nella storia e che alla fine la preghiera è più forte dei proiettili, la fede più potente delle divisioni».
C’era una profezia su eventi futuri (il vescovo vestito di bianco che cade sotto i colpi di alcuni soldati); c’è il corso della storia (il Papa non muore, ma si salva “miracolosamente” anche a detta dei medici che lo hanno operato). In mezzo la libertà degli uomini, che agiscono tanto nel male (qualcuno impugna l’arma e spara) quanto nel bene (il popolo dei fedeli prega e digiuna per la salvezza e la pace).
Un prima e un dopo
Ecco a cosa richiama l’atto di consacrazione di papa Bergoglio. Non è rigurgito superstizioso per scacciare sciagure e sventure. È invece un invito a confidare nel trionfo del cuore immacolato di Maria, nel giorno in cui tradizionalmente la Chiesa celebra l’Annunciazione, nei termini ancora una volta chiariti nel 2000 da Ratzinger: «Il cuore aperto a Dio, purificato dalla contemplazione di Dio è più forte dei fucili e delle armi di ogni specie. Il fiat di Maria, la parola del suo cuore, ha cambiato la storia del mondo, perché essa ha introdotto in questo mondo il Salvatore – perché grazie a questo “Sì” Dio poteva diventare uomo nel nostro spazio e tale ora rimane per sempre». Il fiat libero di una ragazzina ebrea ha quindi interrotto l’antica concezione ciclica della storia, permettendo all’eterno di entrare nel tempo e dando ad esso una direzione ed uno scopo.
C’è un prima ed un dopo, che segna persino la data in cui comunemente ci collochiamo. C’è un prima e un dopo Cristo per cui la vicenda umana non è più il mero divenire, il puro scorrere uno dopo l’altro di istanti giustapposti e su cui noi non abbiamo onestamente alcun potere. C’è un prima e un dopo per cui il tempo è lo spazio di una capacità di decisione e di azione in cui si esprime l’irriducibilità di ciascuna persona in forza di quella dipendenza dal suo Creatore. Dipendenza che può persino essere negata e contrastata. E allora l’ingresso del Salvatore nel mondo e nella storia grazie al «sì» di Maria non significa l’erezione di un mondo di giustizia destinato a non finire più. Non significa l’instaurazione di un nuovo dominio politico, quanto l’offerta di un nuovo criterio nel nostro pensare e nel nostro volere.
Il male nel cuore
Come ricorda nel suo Il Salvatore. Una riflessione politico-teologica Romano Guardini, da questo mondo, in cui è «tutto solo onda nella corrente, Cristo libera, chiamando la persona e collocandola nella sua eterna responsabilità. Egli erige le differenze assolute. Rende chiaro il significato della decisione personale» (p. 62).
In questo senso la venuta di Cristo libera altresì da ogni dominio mondano e smitizza qualunque pretesa totalitaria dell’uomo sull’altro uomo. Fosse anche un sistema religioso e insieme politico che volesse difendere lo spazio storico e spirituale dell’ortodossia dall’assalto della cultura dissoluta di un Occidente corrotto, come ha espressamente dichiarato il patriarca di Mosca menzionando le parate dell’orgoglio gay per spiegare quanto oggi sta avvenendo in Ucraina per iniziativa dell’esercito russo.
Come se il male non fosse radicato nel cuore di ciascuno, ma dipendesse dall’essere inglobati o meno in un “sistema”. In fondo quella di Kirill sembra una confessione di fede non nell’unico Salvatore che chiede per sé alla Samaritana un’adorazione «in spirito e verità» (Gv 4, 5-42). Sembra una confessione di fede nel presunto carattere divino del Russkij mir (Mondo russo) che pretende di adorare Dio solo in certe regioni della terra. È una confessione di fede in un cesaropapismo rieditato, in cui il trionfo del bene sarebbe frutto di un’appartenenza coercitiva ad una mera organizzazione statale e ad una particolare civiltà.
Non è un atto magico
L’autorità politica impersonificherebbe così – spiegò ancora il teologo italotedesco – «quella potenza numinosa che governa nella vita creatrice e ordinatrice della comunità, nella maestà e nell’energia obbligante delle leggi» (p. 75). E in questa pretesa di costituire l’esistenza centrata su un sistema autosufficiente, che vede mondo della natura e mondo dello spirito fusi insieme, per Guardini sta «l’elemento demoniaco: il carattere della creazione contro Dio» (p. 65). «Il maligno – scriveva ancora Ratzinger a proposito di Fatima – ha potere in questo mondo, lo vediamo e lo sperimentiamo continuamente; egli ha potere, perché la nostra libertà si lascia continuamente distogliere da Dio. Ma da quando Dio stesso ha un cuore umano ed ha così rivolto la libertà dell’uomo verso il bene, verso Dio, la libertà per il male non ha più l’ultima parola. Da allora vale la parola: “Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo” (Gv 16, 33). Il messaggio di Fatima ci invita ad affidarci a questa promessa».
La consacrazione quindi non è per nulla un atto magico che solleva noi tutti dalle proprie responsabilità, affidando lo svolgimento della vicenda umana a forze sovrasensibili che si prendono gioco dell’umanità. È al contrario un invito alla responsabilità di ciascuno, cioè alla capacità di riaffermare in mezzo ai movimenti tellurici della storia l’unico legame che libera dall’inevitabile adattarsi all’urto meccanico delle circostanze. Dalla signora anziana che vive così lontana dal teatro di guerra, ma sgrana il rosario nel suo salotto di casa in comunione con la sofferenza e in supporto alla speranza di chi nascosto sotto uno scantinato di Kiev anela alla pace, alle tante famiglie che stanno aprendo le proprie case ai profughi; dalle scuole che, dopo due anni di chiusure e pandemia, permettono ai ragazzi di riscoprire un interesse per il mondo organizzando la raccolta di beni di prima necessità da spedire ai confini con l’Ucraina, ai volontari delle organizzazioni che trasportano quei beni consegnandoli a chi ne ha bisogno.
Responsabilità, dipendenza, intelligenza
Su su fino ai responsabili politici, perché sappiano esprimere una rinnovata solidarietà europea alle ripercussioni che famiglie e imprese già avvertono in seguito alle sanzioni imposte agli aggressori, in modo da tener conto della reale situazione in cui ogni stato membro si viene a trovare. Perché sappiano superare l’approccio esclusivamente economicista e, oltre alla deterrenza militare, sappiano mettere in campo soluzioni politiche e diplomatiche, senza lasciare spazi vuoti riempiti giocoforza da potenze intenzionate più a vantare ulteriori crediti in vista di future sottrazioni di quote di sovranità a danno di altre nazioni e popoli (si legga la volontà di annessione in una grande area sinica di Taiwan).
Insomma, la consacrazione è una potente sollecitazione alla nostra responsabilità affinché, riaffermando la dipendenza dall’unico Salvatore, l’intelligenza della fede diventi anche una intelligenza della realtà in grado di arrestare l’ineluttabile corsa ad un possibile conflitto globale.
Fonte: Matteo Forte | Tempi.it