Incertezza sui tempi e copertura finanziaria e, soprattutto, silenzio sul diritto-dovere della famiglia di educare i figli. Occasione mancata
Caro direttore, la ministra per le Pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti, ha definito, con un po’ di demagogia, “storica” la giornata del 6 aprile 2022, in quanto in tale data è stata definitivamente approvata dal Senato una legge intitolata “Deleghe al Governo per il sostegno e la valorizzazione della famiglia”, indicata pubblicamente, per la stolta moda dei nostri tempi di usare sempre e comunque l’inglese, “family act”. Sarei molto più cauto nell’usare definizioni trionfalistiche per questa legge, anche se è vero che, una volta tanto, si parla esplicitamente di famiglia e delle sue funzioni essenziali per la vita stessa dell’intera società: si tratta di un riconoscimento di fatto assente nella nostra legislazione e qui sta la moderata positività della legge in questione. Tra noi del popolo spesso si dice che “piuttosto che niente è meglio piuttosto”: solo in questi limiti possiamo accogliere con favore questa legge per le famiglia. Ci sono almeno tre motivi che devono renderci quantomeno prudenti nell’apprezzamento di tale provvedimento. Eccoli.
1) Si tratta, innanzi tutto, di una legge delega, che nell’immediato non ha alcun effetto sulle nostre famiglie. Le misure riguardanti l’educazione ed il sostegno alle responsabilità famigliari devono essere assunte dal Governo entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge (articoli 2 e 6), mentre le misure riguardanti i congedi parentali (art.3), il lavoro femminile (art. 4) e il conseguimento dell’autonomia finanziaria dei giovani (art.5) devono essere assunte entro 24 mesi e cioè 2 anni. Purtroppo, l’esperienza ci dice anche che i termini ivi indicati non sempre vengono rispettati dai Governi, al di là della loro buona volontà. Nel nostro caso specifico, poi, prima dei due anni si terranno (così si spera) le elezioni politiche, il che renderà molto difficoltoso il tenere fede ai termini appena accennati. Incertezza sui tempi, dunque, il che rende la legge che stiamo commentando più simile ad un manifesto che ad un vero e proprio provvedimento legislativo. Chi vivrà, vedrà!
2) Vi è grossolana incertezza circa la copertura finanziaria dei provvedimenti che dovrebbero dare corpo alle legge. Basti leggere l’articolo 8, dove, al punto a) del comma 1 si fa riferimento ad “eventuali risorse residue”. La lettura del comma 2 di tale articolo è, poi, sconfortante: «Qualora uno o più decreti legislativi determinino nuovi o maggiori oneri che non trovino compensazione al proprio interno o mediante l’utilizzo delle risorse di cui al comma 1 del presente articolo, essi sono adottati solo successivamente o contestualmente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie» secondo quanto prevede la legge 196/2009. In altre parole, non vi è alcuna certezza circa le disponibilità finanziarie necessarie a dare corpo alla legge: il finanziamento, di fatto, dipende da voci di “riserva” o, addirittura, da voci ancora inesistenti. Incertezza assoluta, dunque, sugli aspetti relativi alla copertura finanziaria reale.
3) Con il terzo punto, sottolineo quello che, a mio parere, è l’aspetto più grave della legge. Il Parlamento italiano fa una legge che riguarda l’aiuto alla famiglia e dimentica bellamente il compito più importante di ogni famiglia, che è quello di provvedere all’educazione dei figli, così consacrato dall’artico 30 della nostra Costituzione: «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio». Come è stato ben documentato nel libretto “La libertà di educazione è della famiglia”, edito nel 2021 dall’associazione Family Day, la Costituzione riconosce il “DIRITTO” di educare alla famiglia e solo alla famiglia e a nessun altro, neppure allo Stato, tanto per intenderci. A me pare grave che una legge che vorrebbe affrontare integralmente i problemi dalla famiglia italiana non abbia avuto il coraggio di affrontare una volta per tutte questo problema. È vero che l’articolo 2 della legge è così intitolato: “Delega al Governo per il riordino e il rafforzamento delle misure di sostegno all’educazione dei figli”, ma è altrettanto vero che esso si riferisce solamente ai servizi socio-educativi per l’infanzia, alle scuole dell’infanzia ed alle famiglie per i figli con disabilità, ai viaggi di istruzione, all’acquisto dei libri e dei servizi informatici, ma non affronta l’annoso problema della libertà con la quale le famiglie debbano e possano scegliere la scuola per i propri figli, con le relative conseguenze economiche, che si materializzano, soprattutto, nel pagamento delle rette scolastiche. Su questo punto la legge tace e questo silenzio è colpevole, perché si rifiuta, ancora una volta, di andare alla radice del problema. Problema che avrebbe dovuto essere affrontato almeno fino alla frequenza della scuola dell’obbligo, anche se l’articolo 30 non pone limiti al sostegno della famiglia in tutto il percorso scolastico. Questa legge non può essere definita “storica”, proprio perché non ha avuto il coraggio di affrontare questo “storico” problema italiano, che può essere definito solo aiutando la famiglie a pagare le rette. Non si può più mettersi la coscienza a posto da parte dei vari Governi, dando qualche mancetta alle singole scuole, che non aiuta la vera titolare del “DIRITTO”, che, ripeto, è la famiglia.
Nel dare attuazione alla legge, il Governo potrebbe, comunque, affrontare il problema, rendendo così protagonista la famiglia, come prevede l’articolo 30 della Costituzione che, a quanto pare, in pochissimi leggono.
Fonte: Peppino Zola | Tempi.it