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Gioventù Studentesca. Faccia a faccia con le ferite

La provocazione della guerra tra i ragazzi di Monza, le marce per la pace, le domande. Fino all’incontro con i profughi ucraini. Quando scendono dall’autobus, per Bea inizia a cambiare tutto

Lo scoppio della guerra ci ha coinvolto subito: le scuole di Monza hanno organizzato ai primi di marzo due marce per la pace a cui hanno partecipato i nostri ragazzi. Il raggio successivo è stato un momento in cui abbiamo giudicato insieme quello che avevamo vissuto a partire dalla lettura del comunicato del movimento. «Ma io penso che alla guerra non si possa che rispondere con la guerra», dice Mario, uno dei ragazzi. «Però», incalza Carlo, «l’esperienza che ho fatto nella malattia e nella morte di mio nonno è che al male non si può rispondere col male, ci vuole un bene più grande che dia speranza». «Ma qui è diverso: la guerra non è la malattia…».

Nella nostra reazione di fronte ai tragici eventi della guerra si è insinuata una parola nuova: «Non fermiamoci su discussioni teoriche, prendiamo contatto con le ferite, tocchiamo la carne di chi subisce i danni» (Papa Francesco). È una bella provocazione e di slancio ci viene l’idea di organizzare una serata a cui invitare i compagni per tirar su i soldi per l’emergenza Ucraina. «Sì bello», ci ferma Carlo: «Ma i soldi… I soldi sono comunque dei miei genitori e io, per loro, i profughi, vorrei dare qualcosa di veramente mio. E l’unica cosa mia è il mio tempo. Come darlo?». Ci lasciamo con questa domanda, pronti a cogliere i segni di come rispondere a questa disponibilità. Dio è “simpatico”: non ti spiega le cose, te le fa capitare davanti.

È sera e sul gruppo di Whatsapp don Marcello scrive: «Domani mattina arriva un pullman di profughi dall’Ucraina (donne e bambini), potremmo accoglierli nel parco della scuola (il “Guastalla” di Monza), preparargli la colazione e fargli compagnia nell’attesa che vengano a prenderli le famiglie che li ospiteranno». Pronti via. Il mattino dopo alle 7, ragazzi e genitori si lanciano in una commovente gara di gratuità a portare cibo, bevande, materiale per l’infanzia, giochi… Recitiamo insieme l’Angelus e aspettiamo. Dopo due ore arrivano e il contraccolpo è forte per tutti: «L’entusiasmo e la speranza si sono spenti in un secondo, fin dal momento in cui sono scesi dall’autobus», racconta poi Bea al raggio successivo: «La sofferenza traspariva dai loro volti stanchi e affranti, devastati dalla situazione. Ho conosciuto faccia a faccia questa drammatica realtà che a noi sembra così lontana e per un momento ho potuto condividere questa pesantezza in prima persona. E ho proprio sentito un vuoto dentro, una tristezza indescrivibile, una fragilità… Mi sono chiesta che cosa potessi fare io lì davanti a persone che avevano perso tutto e tutti. Ho provato ad aiutare una signora a portare la valigia e consegnare dei giocattoli ai bambini, ma non volevano ed ero triste, mi sono sentita inutile davanti a una situazione così grande. Poi mi sono venute in mente le parole di don Marcello all’Angelus: “Offriamo”. E così ho iniziato a guardare tutto in modo nuovo: non più delusione per ogni rifiuto, ma letizia per ogni sorriso». Quando poi due bambini hanno iniziato a giocare a calcio con i ragazzi del liceo, continua Bea, «le loro risate sono state qualcosa di commovente. Erano due bambini su tutte quelle persone, ma mi hanno lasciato qualcosa che mi ha riempito. Non era gioia o felicità, dopotutto come si può essere felici di una situazione così tragica? Ciò che mi ha lasciato era però la speranza che tutto non si limita a una guerra».

«Prendiamo contatto con le ferite», una frase che si è fatta esperienza, e questo ci ha dato un nuovo slancio per la preparazione di un gesto per la raccolta fondi. «Un risotto per l’Ucraina: vi invitiamo a un momento insieme con il desiderio di aiutarci a capire di più e aiutare chi ha più bisogno. I ragazzi di Gioventù Studentesca». Diceva il volantino. Hanno risposto in novanta. Tutti all’opera: chi a preparare, chi a cucinare – un ottimo risotto alla monzese -, chi a servire. Poi tre canti, su tutti Reina de la Paz, la testimonianza dell’esperienza di Bea e il videocollegamento con Stefano, ricercatore universitario che era andato in Polonia a prendere il pullman di profughi e che si trovava già alla frontiera per guidare un’altra spedizione.
«Come mai sei andato lì?», chiedono i ragazzi. «Me lo ha chiesto un’amica», risponde: «E ho detto sì. Per la prima volta in vita mia ho avuto la consapevolezza di aver detto di sì al Mistero».

Si è accesa una scintilla per tutti: in fondo in fondo tutto questo, gli Ucraini, il risotto, i compagni, ha a che fare col Mistero. Per questo, alla fine, l’unico avviso che abbiamo dato è stato l’invito all’incontro con il Papa e i giovani a Roma il 18 aprile. «In questi giorni ho in mente una canzone di Lucio Dalla: Balla balla ballerino», racconta Carletto al raggio: «Pensa, l’ha scritta dopo l’attentato alla stazione di Bologna del 1980 e chiude dicendo: “Ecco il mistero / Sotto il cielo di ferro e di gesso l’uomo riesce ad amare lo stesso / Ama davvero senza nessuna certezza / Che commozione che tenerezza”. Per provare quella tenerezza devi essere oggetto di un amore veramente grande, è di questo che facciamo esperienza». Così possiamo condividerlo con tutti.

Fonte: Stefano, Monza | ClonLine.it

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