«Scriverò al Papa perché aiuti i ricercatori. I grandi della terra ad un tavolo comune per capire la sofferenza». Ha 26 anni ed è la persona più longeva al mondo ad avere la progeria, una malattia genetica rarissima che provoca invecchiamento precoce. Il verdetto dei medici arriva quando Sammy Basso aveva due anni: non avrebbe superato il tredicesimo compleanno. Invece questo ragazzo di Tezze sul Brenta (provincia di Vicenza), che ha anche un nome navajo — «Chaànaàgahiì», significa «Uomo che ha ancora tanta strada da fare» — combatte e studia: dopo la maturità scientifica si iscrive alla facoltà di Scienze naturali e nel 2018 si laurea con lode con una tesi sulle terapie innovative per rallentare l’avanzamento della progeria. Lo scorso anno ottiene anche la seconda laurea in Biologia molecolare. Sammy ha trasformato la sua malattia in opportunità di conoscenza e oggi è l’ambasciatore della ricerca per una malattia che conta nel pianeta 130 casi conosciuti. La sua vita e il suo impegno hanno incuriosito anche il New York Times che con lui ha trascorso una giornata intera. Sammy è un ragazzo allegro, vispo e autoironico. Lo hanno capito anche i giornalisti del quotidiano statunitense finiti a mangiare con lui hamburger e patatine. A tavola Sammy Basso ha sfoderato la sua autoironia ricordando che a Boston, quando i medici gli dissero che un po’ di vino rosso poteva anche berlo perché fa bene al cuore, la sua risposta fu un gran sorriso e una battuta: «Allora da veneto vivrò per sempre».
Sammy come procede la ricerca?
«Si stanno facendo passi da gigante anche se i fondi non bastano mai. In pochissimo tempo siamo riusciti a riconoscere il gene, nel 2020 in America è stato approvato il primo farmaco contro la progeria e si continuano gli studi per procedere con nuove sperimentazioni per andare oltre il farmaco che dal 2007 io prendo due volte al giorno e che per il momento è la terapia che seguono tutti i malati di progeria».
È questo l’unico farmaco che lei assume?
«Io prendo 8 pastiglie al giorno, alcune sono legate all’intervento al cuore che ho fatto nel 2019 a Roma quando mi fu sostituita la valvola aortica che era molto calcificata e che si sarebbe chiusa molto presto. La progeria aveva lavorato parecchio logorando il mio corpo. Si trattava del primo intervento di questo tipo su un paziente affetto da questa patologia e ha aperto una strada perché si è operato in modo non invasivo con una piccola incisione evitando qualsiasi rischio e anche grazie a questo sono ancora qui a raccontare la mia storia».
Ma si arriverà a trovare la cura definitiva?
«Stiamo studiando un metodo innovativo per modificare il dna senza perderne pezzi, quindi noi oggi abbiamo già la base teorica per curare la malattia, dobbiamo solo capire come metterla in pratica in maniera impattante su tutte le cellule del corpo. Non siamo mai stati così vicini alla cura della progeria. E questa potrebbe essere una soluzione anche per tantissime altre malattie genetiche».
Quindi la scienza e la ricerca stanno per avere la meglio sulla malattia. Che effetto le fa?
«È una enorme soddisfazione personale perché per tanto tempo sono andato a dire che tutti insieme saremmo riusciti a trovare la cura, fino a ieri era una speranza, un motto… Credevo che si potesse migliorare l’aiuto verso i malati ma non pensavo che arrivassimo così vicini alla cura».
A proposito di scienza lei è stato anche testimonial per le vaccinazioni anti Covid. Come ha vissuto nella sua situazione di persona fragile la fase vaccinale?
«In generale ho visto un grande senso di responsabilità da parte degli italiani. Certo, c’era una parte della popolazione che aveva paura e questi li potevo capire perché la divulgazione scientifica non è stata fatta sempre nei modi più corretti e molte persone ci hanno marciato sopra creando davvero la paura, mi riferisco a molti pseudo scienziati o a persone interessate al profitto».
Ma lei il dubbio sul vaccino se lo era posto?
«Da scienziato certamente, ma anche da persona con disabilità che fa ricerca nel campo della progeria. Io ho fornito informazioni ai medici di altri paesi e poi attraverso vari confronti ho capito che per noi malati il vaccino non rappresentava un problema».
Per chi come lei lotta ogni giorno per vivere, per trovare la cura che sconfigga la malattia che effetto fa vedere da quasi due mesi i morti della guerra?
«Questa situazione mi provoca molta tristezza , mi fa star male non poter fare nulla».
Ma chi può risolvere una situazione di questo tipo?
«Forse il papa perché è una voce forte e chissà che chi sta più su di lui possa essere aiutarlo».
Lei a suo tempo aveva scritto una lettera al papa per raccontargli la sua situazione. Poco dopo papa Francesco l’ha chiamata. Non potrebbe essere arrivato il momento di scrivere una nuova lettera sul tema della guerra?
«Ci sto pensando. E vorrei dirgli di aiutarmi a riunire tutti i potenti della terra per un check-up sulla ricerca, per portare a galla tutte quelle figure che combattono per salvare delle vite e spiegare anche il legame che esiste tra mondo della ricerca, medici e famiglie. Vorrei che i grandi della terra capissero anche cosa vuol dire essere sconfitti perché non si è arrivati in tempo a scoprire un farmaco o un vaccino e ci si sente impotenti. Ecco se capissero cosa significa lottare per la vita credo non avrebbero il coraggio di fare la guerra».
Dai palcoscenici mondiali a quelli di casa nostra. Sammy Basso adora fare teatro. Perché?
«Adoro tantissimo recitare e durante la pandemia ho sofferto tantissimo la lontananza dal palcoscenico. A teatro si indossa una maschera e quindi sul palco posso essere quella persona che non sono nella quotidianità. Inoltre posso esternare parti di me che non svelo abitualmente. Quindi in teatro sono molto più me stesso».
È vero che nonostante la progeria non cambierebbe se stesso?
«Non cambierei il mio passato ma è anche giusto sperare in qualcosa di meglio. Da persona che ama la verità voglio essere la copia più vera di me che comprende anche il mio passato».
Di chi è innamorato oggi Sammy Basso?
«Da credente lo sono di Dio, degli amici e della mia famiglia. Ma sono anche innamorato della scienza che è parte di me come la fede. Ma sono sempre pronto ad innamorarmi anche di altro».
Quali sono oggi le paure di Sammy Basso?
«Di non fare abbastanza e quindi di accontentarmi. Poi c’è anche una paura egoistica che è quella di non essere riconosciuto abbastanza per quello che ho fatto».
Chi sono oggi per lei gli eroi?
«Ho partecipato ad una serata sui supereroi e ho detto che per me sono le persone normali che salvano chi sta male. Quindi per me sono i ricercatori, i medici, i miei genitori e i miei amici che fanno di tutto per salvare la mia vita e per riempirmela».
Molti si ricordano la sua apparizione al festival di Sanremo con quegli occhiali da extraterrestre. Tornerebbe su quel palco?
«Certamente. Essere lì mi è piaciuto moltissimo perché è stata una ottima occasione per fare divulgazione. Quindi se Amadeus vuole invitarmi io ci sono».
Fonte: Domenico BASSO inter. Sammy BASSO | Corriere.it