Da oltre un mese in Russia di questi nastri ne sono comparsi a centinaia. Attaccati ai pali della luce, alle fermate dei mezzi di trasporto, sui rami degli alberi e nei corridoi dell’università
Un nastro per protestare contro la guerra. Va bene di qualsiasi spessore, di qualsiasi materiale. Ma con una caratteristica fondamentale: deve essere verde. Da oltre un mese, in tutta la Russia, di questi nastri ne sono comparsi a centinaia. Attaccati ai pali della luce, alle fermate dei mezzi di trasporto pubblici, sui rami degli alberi e nei corridoi delle università. I più coraggiosi lo portano al polso, legato alle borse, o lo mettono sulle macchine che espongono orgogliosamente la «Z«, il simbolo grafico di questa guerra lanciata da Mosca contro l’Ucraina. È il nuovo modo scelto da tanti russi per protestare. Una rivolta pacifica e impalpabile, che nel Paese va avanti ormai da un mese. E che le autorità non hanno ancora trovato il modo di reprimere proprio per la sua discrezione.
Ma perché è stato scelto il verde come colore simbolo di questa protesta silenziosa? Le ipotesi in campo sono tre.
La prima è che si tratti di un omaggio al presidente ucraino. Il nome Zelensky, infatti ha in sé la radice di zelen, che in russo è il colore verde.
La seconda è che sia stato scelto il verde perché viene considerato il colore della pace.
La terza, è che, in realtà si tratti di una dichiarazione “segreta” di appoggio all’Ucraina: I colori nazionali dell’ex Repubblica sovietica, infatti, sono il giallo e il blu. Due colori primari che, una volta miscelati, danno come risultato il verde. Quale che sia la vera ragione, i nastrini hanno fatto la loro prima apparizione ufficiale a Ekaterinburg, nella regione degli Urali. A impiegarli sono stati alcuni attivisti del movimento giovanile Vesna. La protesta pacifica però si è rapidamente diffusa anche in altre città della Russia, soprattutto nella capitale, Mosca, dove questi simboli hanno iniziato davvero ad apparire un po’ ovunque. Silenziosi, visibili e tenaci nel loro «no» alla guerra. E senza incappare nelle severe conseguenze approvate dalla Duma a inizio marzo per chiunque dissenta.
Fonte: Marta OTTAVIANI | Avvenire.it