La Chiesa non sposa le motivazioni di un pacifismo radicale – che, del resto, non è nella sua tradizione dottrinale – ma si fa promotrice di una cultura diffusa di pace, si impegna perché da tutti si comprenda come la guerra è diventata uno strumento del tutto inadatto a risolvere le controversie internazionali. Per un cristiano, e a maggior ragione per il Papa, è nel cuore dell’uomo che nascono la pace o la guerra, ed è a questo uomo, il quale deve scegliere tra il bene e il male, che la Chiesa ha il dovere di rivolgersi. Essa lo accompagna sul cammino della vita indicandogli la giusta direzione. Essa interpella la sua libertà e la sua responsabilità. È a questa profondità che si costruisce la pace, e ovviamente lì si inserisce, per noi credenti, la preghiera.
Papa Francesco esorta incessantemente a pregare per la causa della pace. Per comprendere l’attuale atteggiamento della Chiesa di fronte alle guerre (in Ucraina e nel resto del mondo) è necessario capirne i motivi storici che si aggiungono ai motivi di fondo derivanti dal Vangelo. Un primo motivo si può scorgere nella constatazione del carattere altamente distruttivo assunto nell’età contemporanea dalla guerra che si avvale di armi sempre più dotate di un potenziale distruttivo delle persone e delle cose. Inoltre in molti casi la guerra moderna significa guerra totale, in cui cioè cessa la distinzione tra il fronte e il resto del Paese in guerra e in cui i civili non possono sottrarsi alle conseguenze della guerra. Questa guerra totale porta anche ad una certa mistica della guerra, un’esaltazione collettiva circa le proprie buone ragioni, una sorta di religione della guerra o, comunque, della nazione in guerra. La Chiesa non può non guardare con estrema diffidenza e preoccupazione al carattere totalitario della guerra in età contemporanea, che è derivato anche dalla dimensione ideologica che vuole fare della guerra un mezzo per affermare il proprio sistema di valori contro quello dell’avversario, compresa l’ideologia americana dei cosiddetti diritti umani.
Tutto ciò ha finito col radicalizzare lo scontro bellico, col porre come suo fine la distruzione totale dell’avversario, la sua resa senza condizione, la sua sparizione dalla faccia della terra. All’inizio del terzo millennio si è aggiunta l’esperienza di una guerra non dichiarata provocata dal terrorismo dotato di potenti mezzi di distruzione, come nel caso dell’11 settembre. E a tutto questo si deve aggiungere la constatazione che le guerre del Novecento non hanno risolto mai veramente i problemi che le hanno provocate. Ogni guerra sembra essere diventata, dopo la sua conclusione, causa di un’altra guerra. Ogni guerra pone le premesse di nuovi conflitti.
È comprensibile come il carattere estremamente distruttivo, totale, ideologico e mondiale della guerra in età contemporanea ed anche la sua nota di improduttività abbiano spinto la Chiesa ad un giudizio sempre più nettamente critico sulla guerra. Un secondo motivo è che la guerra è nociva per la missione universale della chiesa. La Santa Sede non ha divisioni militari da far valere. Ha solo il suo prestigio morale. Ma durante le guerre le parti in conflitto non danno molto peso ai fattori morali o, comunque, tendono a strumentalizzare al proprio fine l’influenza della Chiesa. Un terzo motivo è dovuto al fatto che la Santa Sede – e dietro di lei gradualmente la Chiesa cattolica tutta – dà un giudizio negativo della guerra, perché essa vive e sperimenta un rapporto nuovo con l’Europa e con l’Occidente. La Chiesa, che ha la maggior parte dei suoi fedeli in America Latina, in Africa ed in altri paesi di missione non si sente più a casa sua nell’Occidente secolarizzato.
La Santa Sede guarda all’Onu stimando l’istituzione internazionale che meglio si può adoperare per la pace tra le nazioni, evitando le guerre. La Chiesa ha cercato di sviluppare un complesso e articolato discorso sulla guerra e sulla pace, che si rivolge ai credenti ma anche ai non credenti; un discorso che appare sempre più come componente importante dell’annuncio cristiano e, nello stesso tempo, si fa voce di un desiderio di pace comune a tutta l’umanità; un discorso che interpreta l’umanesimo della tradizione di radice cristiana dell’Occidente ma che intende avere anche un’apertura a tutte le culture, una dimensione universale; un discorso che è fatto di appelli ai capi delle nazioni perché risolvano le crisi internazionali senza il ricorso alle armi ma anche di inviti a tutti gli uomini di buona volontà perché si affermi stabilmente una cultura della pace.
Fonte: mons. Michele Pennisi | InTerris.it